Enrico Costa
Cagliari, Centro di Studi Filologici Sardi / Cuec, 2007
La bella di Cabras
Enrico Costa
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Era Salvatore, vestito della corta giacchetta e coi calzoni bianchi rimboccati sopra il ginocchio.
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Cioè a dire, che fin d'allora qui si faceva una copiosa pesca di pesci e di anguille, di cui si provvedeva tutta la Sardegna.
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Com'è noto, a Tharros si scavarono due specie di tombe: quelle romane, cioè, in cui, dopo l'abbruciamento dei morti le ossa vennero raccolte nelle urne; e quelle cartaginesi ed egizie, in cui i cadaveri vennero sotterrati colla testa rivolta ad oriente.
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Sapeva a memoria i nomi i nomi di molti egizi antichissimi. In uno scarabeo vedeva, o un dominatore della quarta dinastia di Menfi, cioè di Menkare, Mencheres di Manettone, o Apocrate, il dio del sole nascente. Sapeva leggere il nome del remotissimo re Totmes III della diciottesima dinastia, o quello di Amun Ra, il più antico dio dell'Egitto, nei quali i cartaginesi riconoscevano il loro Baal Chamon. Conosceva a prima vista l'uccello sacro, l'ibi posato sul coccodrillo, la dea del secondo ordine Hathor od Hether, il serpente alato, il genio tutelare del Nilo, che in origine rappresentava il dio Ptah, creatore del mondo. Notava, senza sforzi e senza occhiali, lo scarafaggio simbolo della creazione, lo sparviero simbolo delle due divinità solari Har e Arneri, il porco simbolo del dio Typhone, il dio Anubi colla testa di cane, la dea Bubasta colla testa di gatto.
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Il fiume Tirso, ingrossato da improvvisa pioggia, aveva rotto gli argini, e con piena spaventevole era entrato in città, recando immensi danni alle case e alle campagne circostanti.