Giuseppe Dessì
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
p. 341
Gli uomini erano vestiti di nero, come sempre nei giorni di festa, e portavano al risvolto della giacca strane coccarde di carta colorata ornate di stelle filanti. Alcuni avevano sulla testa, come un elmo, assicurato dal sottogola di elastico, maschere di cartone o di cartapesta dai lunghi nasi; altri, calzoni alla zuava a colori sgargianti e tutti rapezzati, giustacuori variegati, vestiti da donna, o lenzuola legate con un nastro, due buchi per le braccia e due fori per gli occhi. […] No, era odore di acquavite all’anice perché era festa, era l’ultimo giorno di carnevale, e quel giorno le donne avrebbero fatto le frittelle dal miele e le avrebbero offerte col vino bianco alle maschere entrate liberamente nel cortile. Nessuno avrebbe ordinato ai bambini di star fermi, di star quieti, perché era carnevale e si poteva fare qualunque cosa. […] Il «cacciatore» è la maschera caratteristica di Norbio.
pp. 341-342
La sua tenuta è approssimativamente quella di un cacciatore, solo che gli abiti sono di colori strani e sgargianti, dal giallo all’azzurro e sempre rappezzati
p. 342
Porta a tracolla un tascapane pieno di crusca ed è armato di un fucile che, per mezzo di una cannuccia inserita nella culatta, gli serve a lanciare sbruffi di crusca in faccia alla gente. Chi viene colpito deve pagare da bere.
p. 342
Silvestri lo aspettava nella hall.
p. 342
Marco riconobbe nel «cacciatore» il giovane lampionaio del comune, Luciano Cambilargiu, l’innamorato di Aurelia. Portava un paio di calzoni da cavallo – una gamba rossa e una gialla – infilati nelle uose d’orbace ed era armato di un lungo fucile dal calcio di legno lustro incrostato di madreperla.