Giuseppe Desś
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Desś
p. 336
Ogni casa, simile a un guscio annerito, prende luce da piccole finestre e dalla porta aperta direttamente sul cortile.
p. 337
Ognuno sceglieva il suo santo, nelle preghiere, secondo la propria inclinazione, come intercessione per arrivare a Dio, che era oltre la cortina di nubi di Monte Homo, oltre i più segreti pensieri.
p. 337
I contatti della famiglia con la chiesa erano regolari e continui, ma non erano, per quanto Marco riusciva a capire, rapporti diretti con Dio. Dio era lontano, su un altissimo trono invisibile. I Santi, a cui sua madre, su nonna, le zie si rivolgevano con venerazione, ma anche con una certa confidenza e famigliarità, erano persone simili a loro. Le chiese di Norbio erano piene di simulacri, uno per ogni cappella, e a volte anche di più, in occasione di certe feste, così come il salotto della nonna Margherita era pieno di ritratti. E stavano nell’ombra delle chiese, misteriosi nella loro santità, ma vestiti in modo simile alla gente di Norbio: avevano occhi, mani, piedi, barbe come quelli della gente che s’inginocchiava o si segnava passando. Ognuno sceglieva il suo santo, nelle preghiere, secondo la propria inclinazione, come intercessione per arrivare a Dio, che era oltre la cortina di nubi di Monte Homo, oltre i più segreti pensieri
p. 337
Tutta la gente, la gente di Norbio, soffriva; ma c’era nel dolore una gradazione e quindi, secondo Marco, un’ingiustizia.
pp. 338-339
Tra poco, gli aranci avrebbero cominciato a fiorire, nella valle, nei cortili delle case, e già gli pareva di sentirne il delicato profumo, così delicato che contrastava con l’aspetto rustico e scaglioso delle case di granito, con i coppi rossi e bruni trattenuti da sassi o da tronchi.