Giuseppe Dessì
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
p. 330
Dopo pochi anni i pini erano quindicimila: una vera pineta giovane e vigorosa. Oggi, quasi un secolo dopo, a dispetto della cattiva amministrazione e della lottizzazione più volte minacciata e sempre incombente, i pini sono centocinquantamila e quando il vento soffia, rumoreggiano come il mare.
p. 330
I caprai passavano lontano e se qualche bestia veniva attratta da quel verde, che da piazza Frontera sembrava muschio su le rocce, subito la faceva rientrare nel branco. […] Salendo verso la chiesetta, se ne vedono alcuni enormi, con i rami grigiastri come sconvolti da un vento cosmico che li abbia investiti, ma come il vento eterni, indistruttibili.
p. 334
Ogni giorno il nonno leggeva a voce alta l’elenco dei caduti, e il numero degli scialli neri delle donne cresceva ogni domenica.
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Nascondendo il loro riposto pensiero guardavano Francesco abbottonarsi sorridente il lungo cappotto grigioverde, guardavano i suoi baffetti neri, i suoi occhi chiari, allegri e inconsapevoli: «Possibile che lui non pensi la stessa cosa?»
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Lo zio Oreste, nell’atto di salutarlo, lo scuoteva energicamente, ridendo, lui così esile, così malato, quasi per farsi perdonare di non andare a combattere chi sa poi perché e per chi, e vinceva la commozione dicendo con voce sonora che la guerra sarebbe finita a primavera.