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autori

Giuseppe Dessì

opere

Il disertore

Paese d'ombre

Giuseppe Dessì

Milano, Mondadori, 1972

Paese d'ombre

Giuseppe Dessì

p. 234
Donna Luisa, come tutti i nobili cagliaritani, parlava sardo, un particolare dialetto sardo, completamente diverso da quello della gente dei paesi e anche della città; un dialetto ch’era più intimo ed esclusivo degli altri, non soltanto per la cadenza, ma per i modi di dire, per il lessico pieno di allusioni e di nostalgia per i tempi in cui i nobilucci del Castello riscuotevano tributi dai lontani sudditi e portavano la spada al fianco.

lingua, storia

p. 234
Donna Luisa, come tutti i nobili cagliaritani, parlava sardo, un particolare dialetto sardo, completamente diverso da quello della gente dei paesi e anche della città; un dialetto ch’era più intimo ed esclusivo degli altri, non soltanto per la cadenza, ma per i modi di dire, per il lessico pieno di allusioni e di nostalgia per i tempi in cui i nobilucci del Castello riscuotevano tributi dai lontani sudditi e portavano la spada al fianco.

lingua, storia

p. 235
Francesco non aveva mai pensato di darsi alla carriera militare, e non aveva mai vagheggiato le divise, anche perché non aveva avuto occasione di vederne, né a Norbio né a Cagliari, dove, specie dopo il ritorno della famiglia reale a Torino, le parate militari erano divenute sempre più rare.

storia

p. 236
ldquo;Chiamava il marito per cognome, secondo l’uso del tempo&rdquo

costumi

p. 237
ldquo;Quando, due volte al mese, il compatecipante all’aia, una specie di mezzadro, veniva in paese e, secondo l’uso, mangiava alla stessa tavola dei padroni, chi faceva le domande pertinenti e dava i consigli più sensati era sempre lei, Maria Giuseppa, che i servi più giovani, maschi e femmine, rispettavano e chiamavano zia. Quel pomeriggio, aveva mandato Giuanna ed Efisina a lavare al fiume, e lei si era chiusa nella «stanza della farina». Separava la crusca dal cruschello e dalla semola, facendo scorrere lo staccio sui lunghi staggi di castagno ben levigati. Lo riempiva di farina grezza con la paletta di legno, poi afferrava saldamente lo staccio con le sue mani forti e agili, lo attirava a sé, lo respingeva imprimendogli un moto rotatorio, e lo staccio, quasi animato di vita propria, appena sfiorato dalle sue dita che mantenevano attivo il movimento iniziale, andava avanti e indietro, frullava come una trottola con un trepestio ritmato e veloce, vuotandosi rapidamente. Quasi affascinata dal magico frullare e rimbalzare e da quel lavoro che sembrava farsi da sé, la dona silenziosa, pacata e saggia, ritrovandosi sola in quella stanza semibuia, lei vecchia ormai e avvezza solo alla vita e ai lavori casalinghi, si abbandonava al canto come una ragazza&rdquo

costumi

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