Giuseppe Dessì
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
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Non li tagliava a metà come facevano parsimoniosamente i paesani, ma li accendeva interi, dopo averli spuntati, e li fumava pian piano, a piccole boccate, senza scrollare, finché poteva, la cenere bianca e compatta, segno, a suo dire, dell’ottima qualità. […] Era una ragazza alta, dal petto prepotente contenuto a fatica dal giubbetto di velluto blu a bottoni di perline, con una catenina d’oro che dal collo bianco e rotondo le pendeva sul petto. Alla catenina era appeso un cornetto di corallo che lei, salutando con un gesto, fece scendere tra i seni.
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laquo;Queste miniere sono sempre state la disgrazia della Sardegna. Attirano i forestieri con la prospettiva di facili ricchezze e non sono di nessuna utilità ai sardi. Senza le miniere noi avremmo ancora le nostre foreste!»
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Prese a tirare pian piano e involontariamente fece un cerchietto di fumo azzurrino che si librò a mezz’aria come un’aureola, poi continuò a fumare il sigaro, sulla cui cima andava formandosi un cappuccio di cenere bianca.
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laquo;Il Regio Intendente se la prenderà con noi, perché al Governo interessa solo che la fonderia marci a tutto vapore. Cari amici,» aggiunse dopo una breve pausa «c’è un solo sistema: bisogna che le foreste di Aletzi le prenda in appalto uno del posto, rinunciando ai rapidi guadagni a cui sono abituati i toscani»
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Dalle mappe risultava che nella regione di Aletzi vi erano quindicimila olivastri. […] «Sì, mammài,» diceva immaginando di polemizzare con sua madre e ribattere i suoi argomenti «sono lavoratori molto svelti, sono certo che potranno tagliare gli alberi e, allo stesso tempo, innestare gli olivastri» […] Fra vent’anni sarà tutto un gran bosco di olivi, piante che nessuno oserà mai tagliare.