Giuseppe Dessì
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
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Angelo aveva imparato a leggere una mappa fin dal tempo in cui aveva ricostruito la ferrovia a scartamento ridotto, e riconobbe subito in quel foglio giallino la regione di Aletzi, con due torrenti che scorrevano tortuosi in fondo alle vallate e in mezzo, come posato dalla mano di un dio, il conico colle boscoso: Monte Mei.
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La zona di caccia era il Monte Mei.
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Angelo se ne stava seduto sotto un gran leccio, il fucile carico appoggiato al ginocchio e dominava tre passaggi in cui il cinghiale sarebbe potuto apparire da un momento all’altro. Sarebbe stato annunciato comunque da latrato dei cani. […] Era un grosso cinghiale maschio di una decina d’anni, del peso di almeno settanta, ottanta chili, circondato da molti cani, tra cui Carignosa. Carignosa era un cane da punta e da riporto, ma era anche bravissima col cinghiale, per velocità e coraggio
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Due dei cani migliori giacevano sventrati a pochi passi. […] Il cinghiale piegò le ginocchia e piantò il muso nel pietrisco; ma era ancora vivo. Altri cani si lanciarono all’attacco. Angelo non ricaricò il fucile; lo appoggiò al tronco del leccio e, estratto dal fodero il lungo coltello, andò verso il cinghiale ferito, afferrò saldamente il muso con la mano sinistra e gli affondò la lama sotto la gola fino al cuore. […] La prese delicatamente in braccio, incurante del sangue che gli imbrattava la giacca e i calzoni, la posò su un letto di felci secche, le diede da bere l’acqua della borraccia in una scodella di latta e tenendole il muso tra le mani la guardò morire. Subito dopo arrivarono i battitori che finirono con una fucilata i cani feriti e si caricarono sulle spalle il grosso cinghiale.
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ldquo;La tavola era apparecchiata e Barbara stava per servire la minestra di finocchi e formaggio che aveva imparato a fare da Sofia&rdquo