Giuseppe Dessì
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
p. 116
laquo;Come?!…» disse Ferraris fermandosi a sua volta e alzando la barba rossiccia.
p. 116
L’ingegnere tirava piccole boccate dalla pipa e lasciò che le parole aspre si dileguassero nell’aria assieme al fumo azzurrino, poi disse: «Io sono dalla parte della legge che, una volta tanto, coincide con la giustizia. Lei lo sa quanto me: solo non le fa comodo!».
p. 116
laquo;Non crederà davvero di fronteggiare una folla di pastori sardi col suo bastone o con la sua pistola» ridacchiò l’ingegnere. «Stia attento, per lei e per i suoi uomini, non provocate questa gente; e poi, non sono disposto a sopportare irregolarità, d’ora in avanti».
p. 117
Quell’anno, per la festa di Santa Barbara, patrona di Norbio, il Comitato promotore, oltre ai fuochi d’artificio, aveva organizzato anche le corse dei cavalli. Avrebbero avuto luogo nello stradone, che ora si chiamava via Roma per voto unanime del Consiglio comunitativo, dopo il trasferimento della capitale da Firenze alla «Città eterna». […] Dunque quell’anno, per la prima volta, le sei pariglie avrebbero corso per la via Roma, montate da tre cavalieri di Norbio e da tre di Ghilarza, paese di cavallerizzi famosi e di bei cavalli, oltre che di belle donne.
pp. 117-118
L’allegria si vedeva sulla faccia della gente, di tutta la gente: uomini, donne, vecchie e bambini, che con l’abito della festa aspettavano già da qualche ora addossati ai muri delle case, ai lati della via, in due file compatte – così compatte che, per vedere, i bambini si ficcavano a forza tra le gambe degli adulti, guardando verso Funtanedda, la parte bassa del paese da dove i cavalli sarebbero dovuti arrivare al galoppo. Le gare, a memoria d’uomo, si erano sempre fatte così, in salita. Non era una gara di velocità ma di bravura, di vera e propria acrobazia, e i cavallerizzi avevano adottato questo sistema perché i cavalli, pur lanciati al galoppo, non corressero troppo veloci.