Giuseppe Dessì
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
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Antonio Ferraris aveva sempre amato i monti con i loro disagi, i loro ghiacciai, le baite, i sentieri impervi sui precipizi – i monti del suo paese, le Alpi, che tante volte aveva attraversato per andare in Savoia e in Francia.
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Quelli di Parte d’Ispi, che ora aveva davanti agli occhi quasi a portata di mano, con le loro curve molli, quasi umane, non avevano niente in comune con le Alpi, ma erano pur sempre monti, e in qualche modo condizionavano l’ambiente circostante, la vita degli abitanti, e più ancora l’avevano condizionata in passato quand’erano ricoperti di folte foreste. Gli abitanti di Norbio, per quanto nulla avessero a che fare con gli abitanti del Piemonte o della Savoia, erano pur sempre montanari, e dei monti si portavano addosso l’odore – quell’odore di fumo di legna, di erbe secche bagnate dalle piogge del lungo autunno; e lui li amava.
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Fermo sulla strada deserta, respirava l’aria pura della notte e ascoltava le voci confuse avvinazzate e rauche dell’osteria, tra le quali distingueva assai bene quelle di accento toscano dei carbonai di Àntola. Erano una decina di giovani vigorosi, molto diversi dalla gente di Norbio e dagli isolani in genere.
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In realtà, fra gli stessi italiani del Continente, non c’era in comune se non un’astratta e retorica idea nazionalistica, vagheggiata da mediocri poeti e da pensatori mancati. Persino l’idea di libertà, quale l’aveva espressa la Rivoluzione francese, contrastava con l’unità italiana qual era uscita dalle mani di Mazzini e di Garibaldi che, entrambi in modo diverso, avevano finito per tradire la causa per la quale avevano chiesto il sacrifico di tante giovani vite.
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laquo;Lei parla per sentito dire e si fida troppo di quel suo protetto, di quel giovane bugiardo e poltrone che ogni tanto viene su per sparare ai colombi selvatici!».