Giuseppe Dessì
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
pp. 108-109
Le ghiande avevano ancora il loro ruvido cappuccio.
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Se ne era riempito le tasche qualche giorno prima, nella foresta di Mazzanni, per farne delle trottole per Valentina e le sue sorelle, soprattutto per Dolores, ch’era ancora una bambina. Sotto gli occhi attentissimi delle ragazze, sul grande e rustico tavolo da pranzo, aveva fatto le trottoline servendosi del suo affilato coltello da tasca. Le tagliava a metà, le sfaccettava in modo che avessero, approssimativamente, quattro lati e su ogni lato imprimeva con il lapis copiativo quattro lettere maiuscole; piantava in ogni trottola un mezzo stecchino per farla prillare, e così tutto era pronto per il gioco che si usa fare in Parte d’Ispi con le mandorle abbrustolite usate come gettoni – un gioco da bambini e da fidanzati. Alle mandorle aveva provveduto Sofia, la quale proprio tre giorni prima aveva fatto la domanda ufficiale a Salvatore Manno. Sul grande tavolo, oltre alle mandorle c’erano mandarini e arance vainiglia appena colte dal frutteto, bottiglie di vecchi malvasia di Bosa e di spumante vermentino di Tempio. Anche comare Verdiana e l’anziano padrone di casa vi prendevano parte unendosi al coro di grida che accompagnava ogni vincita. In tutte le case si faceva lo stesso gioco e c’era la stessa aria di festa, con l’odore acuto dei mandarini sbucciati e dell’acquavite: nelle case modeste e in quelle dei «ricchi», e si faceva a chi gridava più forte.
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Si udivano grida fin dallo stradone mentre la gente era attorno ai tavoli rischiarati dai lumi ad acetilene o da lampade a olio, che ogni tanto bisognava smoccolare.
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Sarebbe stato meglio invitarlo a pranzo, o anche semplicemente a bere la malvasia di Bosa che il signor Manno custodiva in cantina.
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Allora si sarebbe anche potuto parlare di cose serie, delle miniere, delle fonderie, dei boschi, della rinuncia dell’Isola alle sue antiche autonomie.