Giuseppe Dessì
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
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I costruttori della primitiva decauville avevano scelto le pareti meno ripide e avevano cercato di rendere meno erta la salita e meno precipite la discesa con una serie di tornanti, ma il dislivello era sempre notevole.
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Il trenino si fermò davanti a una bassa costruzione dal tetto rosso, luogo di ristoro e di raccolta degli operai della Società mineraria, tutti boscaioli, che avevano segato tronchi e sradicato ceppaie. Gli operai cominciarono a caricare i vagoni mentre i muli impastoiati pascolavano dietro la casa dal tetto rosso.
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Rari uomini insaccati nelle mastruche nere dal pelo lungo, il fucile a tracolla e il bacolo in mano, seguivano il gregge o sedevano poco discosti. Si udì a un tratto, confusa al rotolìo delle ruote, la voce di un pifferetto di canna, e Angelo individuò l’uomo che lo suonava accanto a una sorgente che appariva dall’alto come una macchia scura.
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Il convoglio accelerava l’andatura serpeggiando; incontrarono altre ripide discese e risalirono erti pendii senza rallentare; passarono davanti alla chiesa campestre di San Giuseppe, sfiorarono il recinto in muratura della chiesetta di San Sisinnio.
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Ma grazie ai freni, il treno prendeva la curva dolcemente e si potevano contare gli alberi ai piedi del burrone, alberi di quercia, di rovere, olivastri esili o giganti, antichi di secoli. Si vedevano giro dopo giro, sparse sotto gli alberi, greggi di pecore o capre che brucavano la terra rossiccia o si aggruppavano strette attorno ai cespugli