Giuseppe Dessì
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
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Questi erano impianti primitivi, in cui il frantoio era mosso da un cavallo bendato che girava in tondo azionando le pesanti ruote di granito nella tramoggia, e le presse erano semplici presse a vite continua azionate a braccia. Di solito la squadra completa di ogni mulino era di quattro uomini per le presse e uno che mescolava la pasta nella tramoggia, badava ai fuochi, spillava l’olio con la sessola dalle vaschette, riempiva i fiscoli di giunco quando la pasta era pronta e li sistemava a pila sul piatto rotonde delle presse. Un lavoro duro e faticoso per cui le squadre si alternavano con molta frequenza, e ogni squadra non faceva, di solito, più di quattro macinate al giorno. E bisognava dare il cambio anche al cavallo. Agli uomini si aggiungevano quasi sempre due o tre donne, che portavano acqua dalla fontana pubblica o l’attingevano dal pozzo e sbrigavano altri servizi più leggeri. Nel frantoio del signor Manno invece le cose si svolgevano in tutt’altro modo, da quando aveva adottato la macchina a vapore che metteva in azione sia il frantoio che le presse idrauliche.
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laquo;Possibile che non ci sia un rimedio?» sospirava. «Il verme si mangia tutta la polpa, tale e quale come un tarlo; poi esce e si trasforma in una piccola mosca che depone migliaia e migliaia di uova. Bisognerebbe poter distruggere milioni di mosche.»
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ldquo;«Sì» egli disse pulendo accuratamente col fazzoletto gli occhiali montati in acciaio che gli lasciavano sul naso un segno rosso come una cicatrice.
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Se pensava a Balanotti non vedeva più gli olivi carichi di frutti preziosi, ma quei vermetti bianchi che avevano distrutto e avrebbero continuato a distruggere la loro modesta ricchezza.
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laquo;Solo Dio potrebbe farlo; ma Dio, queste mosche della malora, le ha create per punirci dei nostri peccati.» Sofia si segnò.