Giuseppe Dessì
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
p. 75
Avvolto nel mantellaccio nero stette un poco a pensare.
p. 75
laquo;Cosa vuoi, ragazzo? Dove vuoi andare col cavallo?» protestava la gente; ma tutti finivano per lasciarlo passare accarezzando il muso o la groppa di Zurito e tirandosi da parte.
pp. 76-77
Pareva che la naturale capacità di comando dell’ingegnere si potenziasse attraverso la voce del ragazzo che gridava gli ordini dall’altro del suo cavallo bianco.
p. 76
E così fu decisa la costruzione del ponte di legno che, oltre a permettere la normale ripresa della vita a Norbio, in quel frangente, indicò il punto preciso in cui, in futuro, un ponte stabile di ferro sarebbe stato costruito, quel ponte che ancora oggi esiste e si chiama ponte Ferraris, in memoria del forestiero che mise la propria esperienza al servizio della popolazione di Norbio la quale, da sempre, era avvezza ad aspettarsi dai forestieri soltanto soprusi. […] Nessuno di quelli che lo guardavano lavorare con l’acqua fino al petto, trasportare travi e ancorarle al greto, poteva immaginare che il suo slancio fosse dovuto a resipiscenza, alla reazione che aveva provocato in lui la faccia di quella gente che era diventata italiana senza nemmeno sospettarlo e senza migliorare minimamente la propria condizione di eterni «vassalli».
p. 77
Si videro tornare gli uomini a cavallo, in maniche di camicia, sotto l’acqua battente, portando sulle spalle lunghe travi, interi tronchi di pioppo o di eucalipto.