Giuseppe Dessì
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
p. 64
laquo;Ciulè» gridò, come tutti i ragazzi di Parte d’Ispi quando vogliono chiamare un cane.
p. 64
Era un cane giovane, dal pelo giallastro, con lunghe striature nere che accentuavano il rilievo delle costole sporgenti.
pp. 65-66
Angelo vide la lepre schizzar via di lato, la vide fare una piroetta per aria, distinse chiaramente per un attimo le lunghe orecchie, il dorso arrotondato e il ventre bianco. Il cavallo fece uno scarto, si voltò a guardare con le orecchie puntate. Zio Raimondo parlava per suo conto come se ripetesse il grido di poco prima evocando l’attimo in cui la lepre era scappata di tra le zampe del cavallo. Fece un passo indietro e imbracciata la frusta come un fucile puntò la lepre, che, dopo il salto, s’era acquattata in un solco e lo guardava con i suoi occhi scuri e tondi come acini di uva mora. […] Angelo fece a tempo a vederla ancora una volta, piccola e nera contro il cielo chiaro, come uno straccio lanciato in aria o un uccello sul punto di posarsi.
p. 65
laquo;Non è vergogna aver fame, quando si è onesti» sentenziò il vecchio.
p. 65
laquo;Troppi carignos, troppi vezzi!» disse il vecchio considerandolo seriamente.