Giuseppe Dessì
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
p. 63
Zio Raimondo lo mise da parte ridendo con i suoi denti forti e bianchi. Arrivato al limite del campo, senza nessuno sforzo sollevava il pesante aratro, estraeva il vomero lucente dalla terra bruna e subito lo affondava accanto al solco appena finito per aprirne un altro parallelo.
p. 63
Vide il vecchio fermarsi, guardare l’orologio da tasca, staccare dall’aratro il cavallo, e nello stesso tempo, udì, lontanissimo, il rintocco allegro delle campane di Norbio, che era una macchia chiara ai piedi delle brulle montagne.
p. 63
Il sole lumeggiava nel cielo grigio, i pochi alberi rinsecchiti attorno alla sorgente fumigante non avevano ombra; ma il ragazzo si accorse lo stesso quando fu mezzogiorno.
p. 63
Ogni tanto passava qualcuno sullo stradone e si fermava un attimo a dare un’occhiata, salutando al modo paesano, con una domanda inutile: «State arando, zio Raimondo? Arate, arate, e che Dio vi accompagni!».
p. 64
Fu allora che passò il cane.