Giuseppe Dessì
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
p. 58
Se guardi da lontano la gente che affolla una piazza, o una processione che ti viene incontro, ti sembra che tutte le persone siano uguali; se invece ci vai in mezzo ti accorgi che si assomigliano, ma nella somiglianza sono diverse. Così era anche per quegli alberi di cui percepiva il silenzio, non come si percepisce il silenzio delle cose, ma come si percepisce il silenzio di persone che stanno zitte e pensano.
pp. 59-60
Sofia mescolò lo zucchero nella tazzina di caffè che aveva preparato, zio Raimondo stese la mano e lei posò la tazzina nel palmo di quella mano larga come una paletta di legno di castagno, di quelle che le donne di Norbio adoperano per separare la crusca dalla farina.
p. 60
laquo;Ditemi, zio Raimondo,» fece poi versandogli un po’ d’acquavite «mi aiutereste a portare nella casa nuova la roba?».
pp. 60-61
Ma la cosa che gli piaceva di più era la finestra dalla quale si potevano veder anche la Fluminera e i tetti rossicci delle case, le nude pendici di Monte Volpe e di Monte Homo.
p. 60
C’era nella cameretta accanto al tavolino uno scaffale pieno di libri, alcune traduzioni di romanzi francesi in edizione popolare, manuali di agricoltura, diverse annate dell’«Eco dei Comuni», il periodico fondato, diretto e quasi completamente scritto da Don Francesco, una copia de I Promessi Sposi, un vocabolario italiano e la famosa Enciclopedia Universale dalla quale Angelo aveva tratto tutte le sue nozioni di storia.