Giuseppe Dessì
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
pp. 53-54
La ferita sulla groppa di Zurito si era ormai cicatrizzata e lui non doveva più tenerne lontane le mosche con un ramoscello di mirto come nei primi giorni; quella sotto la criniera non si vedeva nemmeno; era rimasta solo la cicatrice e un’acuita sensibilità: bastava scostare la criniera perché il cavallo si scrollasse.
p. 53
laquo;Non ho mai speso un soldo per avvocati: c’era Don Francesco che si occupava dei nostri interessi; ma ora, sarei dovuta andare a Cagliari a cercarmi un avvocato.»
p. 54
laquo;Sono al mondo da tanto tempo e la corda è consumata: un giorno o l’altro, il secchio cadrà nel pozzo!
p. 55
laquo;Io vi appartengo come vi appartengono questi alberi, e le volpi e i conigli che hanno fatto la tana in questa terra.» Poi si alzò, tagliò alcune canne e fece un recinto attorno alla piantina di elce. Sapeva che il piccolo elce, legato alla morte di Don Francesco, era molto importante per Angelo.
p. 55
La bisaccia del vecchio era appesa al piuolo piantato nel muro. Egli ne tolse una grossa pagnotta avvolta in un tovagliuolo di lino, ne tagliò tre larghe fette con il suo coltello a forma di foglia, ne infilò una in un rametto biforcuto che aveva preparato e la fece abbrustolire alla fiamma. Quando il pane ebbe acquistato un bel colore dorato, colse una manciata di olive nere dall’albero più vicino e intrise la fetta di pane dorato con il loro succo bruno e amaro.