Colori
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Colombi e sparvieri
Grazia Deledda
p. 311
Poi di nuovo il sole brillava, il cielo diventava simile a un mosaico azzurro e grigio e in lontananza verso l'agro di Siniscola un raggio di sole illuminava una striscia verde che sembrava acqua ed era invece un campo di orzo già alto.
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Ancora una settimana e sarebbe sposa; le sembrava già di veder le bisacce appese qua e là nella cucina e nel portico, le pecore squartate, le galline appese a testa in giù col sangue che sgocciolava dai becchi aperti e faceva una piccola buca rossa nella polvere del cortile; tuttavia le pareva che ancora lungo tempo dovesse passare prima di Pentecoste.
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Dopo il bel tempo di Pasqua la pioggia tanto invocata era giunta in abbondanza, seguita anche dalla neve; nuvole grigie e rosse salivano continuamente dal mare e anche quando il sole splendeva sopra la valle, Monte Bardia e Monte Albo, Monte Acuto e Monte Gonare, da un capo all'altro dell'orizzonte si guardavano attraverso un velo di nebbia come quattro vecchioni seduti in mezzo al fumo attorno a un focolare di pietra.
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Si salutarono con un cenno del capo, ma sul viso di entrambi passò un sorriso di reciproco scherno; mentre gli occhi verdastri del nonno guardavano il bastone biforcuto, il mite vincastro al quale l'ex-bandito era tornato dopo tanti anni di fiera ribellione, gli occhietti porcini di zio Innassiu fissavano il coltellino e l'astuccio di canna del suo nemico: ed entrambi pareva si dicessero con lo sguardo: «Ecco a che cosa sei ridotto!».
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Tenendosi coi denti il fazzoletto che il vento voleva portarle via, prese la legna, rientrò e chiuse; ma l'odore la seguiva, ed egli era lì, davanti a lei, piccolo e cereo in viso come un bambino morto, immobile sul suo letto tutto bianco in fondo alla stamberga nera.