Colori
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 114
I due studenti dormivano nella stessa camera, vasta, ma poco allegra, divisa da una specie di paravento formato con una coperta gialla; la loro finestra guardava su un cortile interno.
p. 114
Non vedeva che muri altissimi, d'un giallo sporco, bucati da lunghe finestre irregolari, e panni miseri, d'un candore equivoco, appesi a fili di ferro; uno di questi fili, con anelli scorrevoli, dai quali pendevano laccetti di spago attorcigliati, passava davanti alla finestra degli studenti.
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Uscì e vagò lungamente per le strade lavate dalla pioggia: salì su per una viuzza deserta, passò sotto un arco nero, guardò con infinita tristezza i chiaroscuri umidi di certi interni, di certe piccole botteghe, nella cui penombra si disegnavano pallide figure di donne, di uomini volgari, di bimbi sudici: antri ove i carbonari assumevano aspetti diabolici, dove i cestini di erbaggi e di frutta imputridivano nell'oscurità fangosa, ed il fabbro e il ciabattino e la stiratrice si consumavano nei lavori forzati, in un luogo di pena più triste della galera stessa.
p. 118
Chi era lui? Chi era quella donna? Cosa era la vita? Ecco che le stupide domande ricominciavano. Guardò lungamente i vetri, il filo di ferro, gli anellini ed i lacci bagnati e saltellanti su uno sfondo giallastro, e pensò: «Se mi suicidassi?»
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Al solito, i due compagni salirono per Via Nazionale e il Daga si fermò a guardare i giornali davanti al Garroni, mentre Anania proseguiva distratto, andando incontro ad una fila ciangottante di chierici rossi, uno dei quali lo urtò lievemente. Allora egli parve destarsi da un sogno, si fermò e aspettò il compagno, mentre i chierici s'allontanavano, e il riflesso dei loro abiti scarlatti dava uno splendore sanguigno al lastrico bagnato.