Colori
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 101
La luna seminava il viale di monete e disegni argentei; s'udivano ancora le rane e i canti dei pescatori; tutto era dolcezza, ma arrivato davanti alla sua casa, Anania udì grida, urli, strilli di donne, e voci d'uomini che pronunziavano parole infami: si volse e vide, davanti alle casette rosee che si scorgevano dal suo balcone, un gruppo di persone accapigliate.
p. 102
Davanti al giardino un grosso uomo vestito di velluto nero, immobile alla luna, si godeva la scena con aria quasi beata.
pp. 103-104
Di tanto in tanto avveniva una specie di vuoto nella sua mente; stanco di tormentarsi, allora egli vagava col pensiero dietro visioni estranee al crudele problema che lo urgeva: la voce del mare gli pareva il muggito di mille tori cozzanti invano contro la scogliera; e per contrapposto pensava ad una foresta scossa dal vento e inargentata dalla luna, e ricordava i boschi dell'Orthobene dove tante volte, mentre egli coglieva viole, il rumore del vento sugli elci gli aveva dato appunto l'illusione del mare.
p. 103
L'idea che una delle due donne che abitavano le casette rosee potesse essere sua madre era svanita, dopo le informazioni date, durante il pranzo, dalla padrona di casa; ma che importava?
p. 105
Si chiamava Maria Rosa; era quasi sempre ubriaca e a giorni vestiva miseramente e girava per le strade scarmigliata, scalza o in ciabatte rosse, a giorni usciva elegantemente vestita, in cappello, in mantellina di velluto viola guarnita di piume bianche, qualche volta si metteva sul balcone, fingendo di cucire, e cantava, con voce rauca, graziosi stornelli del suo paese, interrompendosi per gridare insolenze ai passanti che la molestavano coi loro scherzi, o alle vicine con le quali litigava continuamente perché ne seduceva i mariti ed i figli.