Lingua
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
p. 323
Il tram infilò la via fiancheggiata a sinistra dai grandi palazzi con gli alti portici ombrosi e a destra dai colossali ficus elastica del fogliame folto, carico di polvere.
p. 323
A Cagliari, sotto l’ampia tettoia della stazione furono circondati da un nugolo di piccioccus de crobi, i piccoli facchini cagliaritani, scalzi, vestiti di stracci e vispi come passeri, con le loro gialle corbule di giunco, sempre pronti a trasportare qualsiasi merce per pochi centesimi.
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La gente andava e veniva chiacchierando di chi sa che, con quella cadenza cantilenante così diversa e in contrasto con la dura, asciutta parlata isolana. Cagliari era diversa dal resto dell’isola. Fin dai tempi antichi, era stata la roccaforte dei dominatori e la sua popolazione eterogenea, fatta di un miscuglio di razze, teneva in dispregio chiunque venisse dal contado.
p. 324
La gente andava e veniva chiacchierando di chi sa che, con quella cadenza cantilenante così diversa e in contrasto con la dura, asciutta parlata isolana. Cagliari era diversa dal resto dell’isola. Fin dai tempi antichi, era stata la roccaforte dei dominatori e la sua popolazione eterogenea, fatta di un miscuglio di razze, teneva in dispregio chiunque venisse dal contado. Anche Angelo, quando arrivava a Cagliari, si sentiva paesano e, come tutti i paesani, provava un senso di inferiorità.
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Silvestri lo aspettava nella hall.