Colori
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 49
Egli conosceva già la figlia del padrone, Margherita Carboni, come la chiamavano tutti i bimbi che frequentavano il molino; qualche volta ella gli aveva dato i lucignoli ed anche l'orzo per il cavallo, e quasi tutti i giorni egli la vedeva nell'orto e ad intervalli anche nel molino, dove essa si recava con suo padre; ma mai s'era immaginato che quella signorina grassa e rossa e dall'aria superba fosse così affabile e buona.
p. 49
Questa protezione, quel tono da padrona, quella figurina grassa e rossa, vestita di flanellina turchina, quel nasetto prepotente rivolto all'insù fra due guancie molto paffute, quei due occhi scintillanti alla luna, fra due bende ricciolute di capelli rossicci, piacquero immensamente ad Anania.
p. 50
Non si vedeva nessuno, non s'udiva nulla nel grande orto umido e chiaro sotto la luna. Le montagne si delineavano azzurre sullo sfondo vaporoso del cielo; tutto era silenzio e pace.
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Mentre il padre zappava, curvo sulla distesa verde-chiara del frumento tenero, Anania si perdeva attraverso i campi nudi e melanconici, cantando con gli uccelli, cercando funghi ed erbe.
p. 51
In mezzo ai campi quell'anno coltivati dal mugnaio, sorgevano due pini alti, sonori come due torrenti. Era un paesaggio dolce e melanconico, qua e là sparso di vigne solitarie, senza alberi, né macchie. La voce umana vi si perdeva senza eco, quasi attratta e ingoiata dall'unico mormorìo dei pini, le cui immense chiome pareva sovrastassero le montagne grigie e paonazze dell'orizzonte.