Lingua
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
p. 72
Se avesse parlato spagnuolo, tutti avrebbero capito, vecchi e giovani, ma l’uomo barbuto era piemontese e parlava italiano.
p. 74
Quella mattina, in piazza Frontera, si rese subito conto del malinteso che stava per nascere e, senza insistere sui volontari disse, sempre servendosi di Angelo che traduceva nel dialetto di Norbio, che, per il momento, non gli importava niente del carbone e della legna, e ascoltò egli stesso, con meraviglia, le proprie parole rimbombare nella piazza.
pp. 75-76
C’era qualcosa di inconsueto e al tempo stesso di famigliare in quell’adolescente che trasformava il suo linguaggio fatto di termini tecnici in quello strano dialetto latineggiante, facendosi capire da tutti. Perché era evidente che tutti capivano subito le sue parole e stavano a sentirlo; gli davano retta. Un tipo così lo aveva incontrato a Bezzecca. Era un pisano, arruolatosi quindici giorni prima.
p. 87
Zio Vissente subsunnava sfregandosi la barba grigiastra. Angelo avvicinò il viso a quello di lei, guardandola fisso negli occhi, che erano grigio-verdi.
p. 88
E per la prima volta, allora, aveva sentito il suo profumo e l’aveva vista.