Lingua
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Elias Portolu
Grazia Deledda
p. 87
Credeva ai morti e agli spiriti erranti; e nelle lunghe notti della tanca, seguendo il gregge aveva più volte impallidito sembrandogli di veder guizzi misteriosi nell'aria, animali strani che passavano di corsa senza destare alcun rumore, e nella voce lontana del bosco, in quella immensa solitudine di macchie e di roccie, sentiva spesso lamenti arcani, sospiri e susurri.
p. 98
- Sete e fame, mamma mia; datemi da mangiare, ché poi me ne vado al seranu.
p. 98
Quel giorno i Portolu avevano avuto un lauto desinare; fave bollite col lardo, e cattas, specie di frittelle di pasta lievitata, con uova, latte e acquavite.
p. 110
Quella mattina, al solito, Mattia era andato a Nuoro; doveva ritornare verso il meriggio, e adesso il tiepido meriggio di marzo regnava sulla tanca.
p. 134
Zia Annedda andò e prese con due dita un dolce di pasta di miele in forma d'uccellino, e chinandosi di nuovo sul nipotino glielo porse.
- Prendi; ecco l'uccellino; non addormentarti, sai.
Il bimbo prese il dolce svogliatamente, senza sollevar la testa dal petto del nonno, e accostò alle labbra il becco dell'uccellino, ma non lo mangiò.
- Hai sonno?, - chiese zio Portolu, guardandolo. - Non hai dormito, stanotte, uccellino mio? Su, scuotiti, ascolta che belle canzoni! Quando sarai grande anche tu canterai così. Ti porterò a cavallo alla tanca e canteremo assieme.