Lingua
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 59
Quaranta bambini animavano la classe. Anania era il più grande di tutti, e forse per ciò la piccola maestra, che aveva anche due terribili occhi neri, si rivolgeva a lui di preferenza, chiamandolo col solo cognome e parlandogli un po' in dialetto sardo, un po' in lingua italiana.
p. 87
Ma dove sei stato, galanu meu? Perche sei uscito prima dell'alba? - chiese zia Tatàna.
- Datemi il caffè! - diss'egli, aspro.
p. 92
Un pastore, che aveva finito di sorseggiare un calice d'acquavite, uscì dalla bettola e pizzicò la fanciulla.
- Sas manos siccas, lepre pelata! - gridò Agata; poi attirò Anania entro la bettola e gli chiese che cosa desiderava bere.
p. 116
Al ritorno passarono ancora per Via Nazionale. Chiacchieravano in dialetto. Era tardi, e su e giù, attraverso i marciapiedi quasi deserti vagavano molte farfalle notturne, così le chiamava il Daga. A un tratto una di esse passò accanto a loro e li salutò in dialetto sardo.
- Bonas tardas, pizzoccheddos!
p. 119
Il cielo si rasserenava; nell'aria molle vibravano i rumori della città rianimatasi, e l'arcobaleno s'incurvava, meravigliosa cornice, sul quadro umido del Foro Romano.