Geografia
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Desś
p. 337
I contatti della famiglia con la chiesa erano regolari e continui, ma non erano, per quanto Marco riusciva a capire, rapporti diretti con Dio. Dio era lontano, su un altissimo trono invisibile. I Santi, a cui sua madre, su nonna, le zie si rivolgevano con venerazione, ma anche con una certa confidenza e famigliarità, erano persone simili a loro. Le chiese di Norbio erano piene di simulacri, uno per ogni cappella, e a volte anche di più, in occasione di certe feste, così come il salotto della nonna Margherita era pieno di ritratti. E stavano nell’ombra delle chiese, misteriosi nella loro santità, ma vestiti in modo simile alla gente di Norbio: avevano occhi, mani, piedi, barbe come quelli della gente che s’inginocchiava o si segnava passando. Ognuno sceglieva il suo santo, nelle preghiere, secondo la propria inclinazione, come intercessione per arrivare a Dio, che era oltre la cortina di nubi di Monte Homo, oltre i più segreti pensieri
Roma, Mondadori, 1945
Il diavolo fra i pastori
Francesco Fancello "Brundu"
p. 101
Tanto è vero che i soli momenti di pienezza eran stati quelli nei quali aveva riscoperto motivi ormai dimenticati nei recessi della memoria, come quando in una delle sue prime gite campestri si era trovato davanti al sughereto della tanca grande scortecciato di fresco: di fronte all’oro del pascolo disseccato, i tronchi rosso sangue come spellati vivi gli avevano dato lo stesso brivido che sempre lo assillava fanciullo. S’intende che la coscienza tecnica dell’agricoltore aveva immediatamente ristabilito il significato utilitario della macabra scena.
p. 159
Antonio Silano, legato il cavallo ad un pero selvatico nella valletta dell’Acqua nera, si inerpicò per la costa sassosa con passo spedito.
p. 161
La libertà stava dall’altra parte. Dall’altra parte il mare. Di là dal mare l’isola dei foschi ospitali graniti. E le macchie di elci e di querce e gli ermetici roveti.
Roma, Maglione e Strini, 1923
La razza. Frammento di recentissima storia
Romolo Riccardo Lecis
p. 114
Come l’aspra vigilia mi temprerebbe di ferro nella fiera solitudine dei miei monti di Barbagia! Perché non respiro ora quelle libere aure quasi selvagge?