Storia
Roma, Tip. G. Ciotola
L'eremita di Ripaglia ossia l'antipapa Amedeo VIII di Savoia
Stefano Sampol Gandolfo
pp. 234-235
Prescindendo dalla sognata opinione che Annibale di qui [Bard] appunto passasse, noi faremo invece notare, che in quel tempo anche i pastori delle vicine montagne avevano assai poche notizie di quelli alpestri recessi, i quali molto tardi furono riconosciuti dai Romani, che se ne impadronirono.
Sul cadere del secolo IX re Arnolfo, reduce in Germania, di qui certamente passò.
[…] Non troviamo fatto altro cenno che di Amedeo IV. Il quale bramoso di ricuperare la giurisdizione, che i suoi proavi avevano goduto sulla Valle d’Aosta strinse d’assedio nel 1225, il famoso forte di Bard e non sarebbe riuscito ad impadronirsene senza il poderoso soccorso prestatogli dai potenti signori di Challand.
[…] Sul cominciare di questo secolo è qui che il grande Napoleone, spinto dal genio delle sue conquiste e imbaldanzito dall’esito delle sue vittorie, varcando il S. Bernardo, e volendo penetrare all’improvviso in Piemonte, dovette arrestare per qualche istante i suoi passi, dinanzi all’insormontabile ostacolo, che gli presentava la imponente e ben munita fortezza. A superare la cui resistenza, valorosissima e micidialissima, tutto il valore ci volle del gran Capitano, dei generale Berthier e Marmont e dei soldati francesi, che per espugnarla ed impadronirsene dovettero sostenere il fuoco per alcuni giorni, ripetere varie volte gli assalti e quasi per intiero diroccarla.
p. 236
Gli è raro che un Papa venga coronato dal Concilio, che lo ha proclamato. Non si cita che un papa Alessandro, coronato a Pisa, che un papa Martino, coronato a Costanza, e questo papa Felice V, di cui parliamo, incoronato a Basilea.
Era il 5 novembre 1439 e qui davanti la Cattedrale, e precisamente là, in mezzo alla piazza fu rizzato un palco con sopra un altare riparato da preziosissimi drappi.
Il Papa vi salì accompagnato da circa duemila tra chierici e tra nobili, dai suoi figliuoli il conte Luigi e il conte Filippo di Ginevra, ai quali facevano corteggio un marchese di Saluzzo e molti altri baroni della patria del Papa, nobili di Germania, tra i quali il marchese di Retelen, il Conte Corrado di Vinsberg, vecchio ciambellano dell’impero; il conte di Therstein, i nobili deputati di Strasburgo, di Berna, di Soletta, di Friburgo.
pp. 238-239
Finite le cerimonie, scese ognuno dal palco per montare a cavallo, e la processione s’incamminò nuovamente verso la città coll’ordine seguente: laici e valletti, scudieri e baroni, il Papa circondato dai suoi consiglieri, ciascuno sontuosamente abbigliato, quale di porpora e d’oro, quale alla militare con gemme ed auree catene al petto.
[…] Teneva dietro il clero della città e campagna con reliquie; quindi i Romiti di Ripaglia, detti anche Cavalieri di San Maurizio, tutti vecchioni e antichi compagni di Felice nel mondo, e che ora lo accompagnavano pontefice, ammantati nella bianca tunica del loro Ordine.
Il Papa, che si avanzava lentamente sotto un baldacchino d’oro, benediceva gravemente e commosso il popolo genuflesso. Retelen e Vinsberg tenevagli la briglia della mula bianca; giunti al ghetto degli ebrei, i rabini gli si fecero innanzi presentandogli i libri della legge, che ricevette con rispetto; ed entrata finalmente la processione nella chiesa dei Domenicani, s’intonò il Te Deum.
[…] Ma chi era questo Felice V, si può sapere?
[…] Era nientemeno che il Duca Amedeo VIII di Savoia!
pp. 240-243
Il 3 marzo del 1431 Gabriele Condulmero, veneto, di anni 46, cardinale prete del titolo di S. Clemente, e nipote a Gregorio XII, era proclamato Pontefice. Col nome di Eugenio IV, fu esso uno dei più insigni Papi.
[…] Il suo Pontificato non fu però tranquillo, e le maggiori tribolazioni, più che dai principi secolari del suo tempo, esso le ricevette dai Vescovi di quel detestabile sinedrio, che fu il Concilio di Basilea, antica e nobile città dell’Elvezia. Quel Concilio era stato convocato dal suo illustre predecessore Papa Martino V; ma Eugenio IV, che lo aveva confermato, e fatto aprire nel primo anno del suo Pontificato, non tardò ad accorgersi che i pochi vescovi intervenutivi tendevano ad un malaugurato incominciamento di gravissime discordie.
[…] Invano i Legati Pontificii, ammoniti dal Pontefice, alzarono la voce e usarono di tutta la loro autorità per protestare contro atti e intenzioni di così aperta ribellione. Quei pochi vescovi e quei pochi dottori ruppero finalmente in aperta guerra, ed erigendosi a potere supremo, indipendente e assoluto della S. Sede, si dichiararono pubblicamente contrari a qualunque riconciliazione.
Fu allora che il Pontefice Eugenio IV, usando della pienezza dei suoi poteri, con due distinte Costituzioni, prima annullò tutti gli atti di quella arrogante assemblea, quindi richiamato a Roma il Cardinale Cesarini, suo legato e presidente del Concilio, dichiarò incorsi nelle più gravi censure della Chiesa tutti coloro, che in qualunque modo avessero continuato a radunarsi e si fossero ostinati a disubbidirgli.
Le proteste del Santo Pontefice furono villanamente derise, e i suoi decreti dichiarati di nessun effetto, e i Padri di Basilea continuarono a radunarsi in Concilio, sotto la presidenza del più accanito nemico del Papa, il Cardinale Ludovico Alleman, arcivescovo di Arles.
[…] Il Concilio di Basilea, ridotto a una ventina di membri, tra i quali nove soltanto vescovi, e tutti nemici del Pontefice, e sudditi del Duca di Savoia, ebbe la tracotanza di riunirsi nuovamente per citare il Santo Padre a comparire alla sua presenza, per dichiararlo contumace, quindi deposto, e per decretare in ultimo la elezione di un novello Papa.
Sciagurata elezione; che fu compiuta di fatti colla proclamazione a Papa, ossia antipapa, dell’Eremita di Ripaglia, del Duca Amedeo VIII di Savoia.
p. 245
Gemeva intanto l’animo del legittimo Pontefice [Eugenio IV], dinanzi a tanta desolazione della sua Chiesa, e la sua salute ne deperiva tutti i giorni; […] tanto se ne amareggiò che dovette cedere allo strazio dell’animo e alle immani fatiche, per addormentarsi nel Signore, universalmente compianto da quanti ebbero la fortuna di riconoscerne e di apprezzarne le straordinarie virtù, e gl’insigni meriti nei sedici anni del suo travagliatissimo Pontificato.
Durante i quali, dopo la morte della regina Giovanna II di Napoli, diede l’investitura di quel regno a Renato d’Angiò; incoronò in Roma l’imperatore Sigismondo; canonizzò Nicola da Tolentino; ordinò la precedenza dei cardinali sopra i vescovi, e condannò l’errore di Giovanni Poliaco, il quale sosteneva che coloro, che si erano confessati ai monaci, dovevano confessarsi di nuovo ai rispettivi loro parroci per soddisfare il precetto Pasquale.