Colori
Milano, Arnoldo Mondadori Editore
Canne al vento
Grazia Deledda
p. 407
S'alzò dunque e salì nella sua camera, la stessa ove un tempo dormiva con Lia: lo stesso letto di ferro arrugginito a foglie d'oro stinte, a grappoli d'uva di cui solo qualche acino conservava come nei grappoli veri acerbi un po' di rosso e di violetto: le stesse pareti imbiancate con la calce, i quadretti con cornici nere, con antiche stampe di cui nessuno in casa conosceva il valore: lo stesso armadio tarlato, sopra la cui cornice arance e limoni in fila luccicavano al tramonto come pomi d'oro.
p. 407
Tutto era in ordine là dentro: in alto alcune trapunte logore, tappeti di seta, coperte di lana che il lungo uso aveva ingiallito come lo zafferano: più giù la biancheria odorosa di mele cotogne, e canestrini di asfodelo e di giunchi sul cui sfondo giallino si disegnavano in nero i vasi, i pesci, gl'idoletti dell'arte sarda primitiva.
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Finalmente si decise e strappò la lettera dal fascio di carte; era ancora bianca, entro la busta bianca; sembrava scritta ieri e che nessuno ancora l'avesse letta.
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Noemi rimise il suo lavoro entro uno di questi canestrini, e ne sollevò un altro: sotto c'era un plico di carte, le carte di famiglia, gli stromenti, i legati, gli atti di una lite, stretti forte da un nastrino giallo contro il malocchio. Il nastrino giallo che non aveva impedito alle terre di passare in altre mani e alla lite di esser vinta dagli avversari, legava alle carte morte una lettera che Noemi, ogni volta che sollevava il panierino, guardava come si guarda dalla riva del mare il cadavere di un naufrago respinto lentamente dall'onda.
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Noemi aprì l'armadio per rimettere il lavoro, e il cardine stridette nel silenzio come una corda di violino, mentre il sole già senza raggi gettava un chiarore roseo sulla biancheria disposta sulle assi rivestite di carta turchina.