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Storia

Roma, Tip. G. Ciotola

L'eremita di Ripaglia ossia l'antipapa Amedeo VIII di Savoia

Stefano Sampol Gandolfo

pp. 176-177
L’arco trionfale di Augusto Cesare innalzasi maestoso alla distanza di cencinquanta metri dal ponte. La sua base e la sua volta sono ancora ben conservate, ma le statue e le iscrizioni, che lo adornavano, disparvero tutte per le ingiurie corroditrici del tempo, che minacciavano naturalmente tutto il pregevole edifizio, per cui si credette opportuno di ricoprirlo di ardesie. I capitelli delle sue colonne sono d’ordine corinzio; l’aspetto di tutto l’arco grandioso ed imponente.

arte, storia

pp. 178-179
La Cattedrale, che come accennammo in altro luogo, vuolsi edificata sotto l’impero di Costantino e sulle rovine di un antico tempio pagano da Contrando re dei Borgognoni, successivamente ingrandita ed abbellita, offre […] molte cose degnissime di osservazione.
Sotto il coro discendesi per due belle gradinate in una cappella, che serve di tomba ai Vescovi ed ai Conti di Challaud, ricchissimi e piissimi signori di Aosta, che si mostrarono sempre benefici, sempre generosissimi verso questo sacro tempio principale della loro patria. Nel cui presbiterio sono da ammirarsi primieramente un magnifico dittico d’avorio, opera del 406, rappresentante l’imperatore Onorio, che sostiene colla mano una bandiera col motto: In nomine Christi vincas semper, con sopra il capo incise, in forma semicircolare, le parole: D. N. Honorio semper Augusto; e sotto i piedi queste altre: Probus, famulus, consul ordinarius.
In secondo luogo un superbo mausoleo innalzato alla memoria dell’illustre conte Francesco Challaud, Maresciallo di Savoia e gran Balì d’Aosta.
Ed in terzo luogo un altro mausoleo di qualche pregio, che racchiude le ceneri, chi dice del principe Tomaso di Savoia, e chi di Umberto, figlio naturale di Amedeo VII, e fratello spurio quindi del Duca Amedeo VIII, il nostro Eremita di Ripaglia.
[…] Noi siamo con questi ultimi. E quando non avessimo in suffragio della nostra opinione il leone, che vedesi scolpito nel monumento, recante il gran collare dell’Ordine dell’Annunziata colla parola FERT, che non era ancora adottata ai tempi del principe Tomaso, un fatto solo sarebbe sufficiente a confermarci sell’opinione nostra: l’accanito combattimento, che dovette sostenere in Aosta il cavaliere Umberto di Savoia in difesa dei Baroni di Roumilly.

arte, storia

pp. 200-202
Si può asserire, senza tema di essere smentiti, che in fatto di sacri templi, di tutte le città italiche la meno notevole è Torino, la capitale del Piemonte antico.
La stessa sua metropolitana, che vuolsi fondata dal Duca Longobardo Agilulfo sul principio del secolo VII, e ricostruita nel 1498 sul disegno di Bramante, ad eccezione della sua grandiosa Cappella Reale del Santissimo Sudario, nulla offre, che sia degno di osservazione.
A questo imponente santuario, che fa seguito alla Reggia, e che ammirasi in gran parte anche dalla sottostante Cattedrale per mezzo di una maestosa arcata sorretta da colonne, ascendesi per una pregevole gradinata.
Innalzato d’ordine del Duca Carlo Emanuele II sul disegno del Guarini, per la sua forma rotonda, per le sue ricche colonne e pei suoi pilastri di marmo nero a basi e capitelli di bronzo, è l’interno di quella ricchissima Cappella Reale, più che severo, mestissimo.
Vi ha chi si ostina a sostenere che la sua cupola è singolare, ma per la licenziosa stranezza delle sue forme, che è un vero sfregio dell’arte architettonica. Singolare non è neppure l’altare, benché disegno del Bertola e ricco a profusione stucchevole di ornati del Borelli. Singolare ed ammirabile è la duplice preziosissima sua cassa, che racchiude la Santa Sindone, il venerabile lenzuolo, in cui venne raccolto dal pietoso Giuseppe di Arimatea il Corpo Augustissimo del Redentore.
Santissima, adorabilissima Reliquia, che trasportata in Europa nel 1187 da una famiglia espulsa da Gerusalemme dal feroce Saladino, acquistata da un Goffredo di Charny della Sciampagna, fu dalla costui figliuola ed erede, andata sposa ad un gentiluomo del nostro Duca Amedeo VIII, dopo molte vicissitudini donata ai principi della Casa di Savoia.
I quali, dopo averla riverentemente ed a seconda dei tempi trasportata ora da Chambery a Vercelli, ora da Vercelli nuovamente, per secondare i desiderii del popolo, a Chambery, ora da Chambery al Castello di Lucento per ivi sottoporla all’adorazione di S. Carlo Borromeo a tale oggetto pellegrinante, venne finalmente rinchiusa là, ove oggi splendidamente la vediamo, e adoriamo. Checché abbia scritto contro la sua autenticità la immonda penna di un Calvino e di altri ignobili suoi detrattori.
Grande, bisogna dirlo, fu in ogni tempo la devozione dei Principi e delle Principesse dell’augusta casa di Savoia per questa prodigiosa e taumaturga Immagine del corpo Santissimo del Salvatore.

arte, colori, italia ed europa, religiosità, storia

pp. 213-214
Chi ha la memoria più fresca e si rammenta delle melliflue espressioni, con che scriveva e faceva scrivere il padre del re Umberto I, il re Vittorio Emanuele II alle Corti sovrane d’Europa ed allo stesso addolorato Pontefice Pio IX, dopo la spietata breccia di Porta Pia, dopo averlo fatto bombardare, spogliare e chiudere prigioniero in Vaticano.

storia

pp. 216-217
Avvi nel Piemonte antico una città. […] Ed è questa la città di Cuneo.
[…] Nello sbocco che fanno il Gesso e la Stura delle vallate alpine nella pianura adiacente, essi convergono talmente col loro alveo, che dopo aver lambito, il Gesso a levante e la Stura a ponente, una specie di promontorio, ultimo dei colli subalpini, confondono insieme le loro acque.
Questa pittoresca altura, circonvallata in tre lati dai fiumi e chiusa a ponente dalle montagne, veniva sagacemente additata nel 1120 da un accorto abitatore del Castello di Caraglio ai suoi compatriotti, come luogo di sicuro asilo contro i vilissimi oltraggi e contro la tirannide dei feudatari loro signori. Consiglio saggio, che come tale unanimemente riconosciuto, e unanimemente adottato, fu l’origine in breve della fondazione di Cuneo. Denominazione codesta anche felice, perché conveniente alla forma che presero i suoi fabbricati; conica essendo appunto la figura del colle, su cui sorgevano e che inespugnabile spesso la rese e per le sue inclinatissime pendici sopraposte ai due fiumi, e perché da un lato solo accessibile.
Primi infatti a sperimentare la resistenza delle sue fortezze furono nel 1374 i Brettoni. Pretesero nel 1484 di assediarla e di assaltarla i marchesi di Saluzzo, quindi per ben tre volte i francesi dal 1548 al 1691; e finalmente i galli ispani condotti dal celebre principe di Conti; ma inutilmente; ché furono vergognosamente e sempre respinti. Solo all’austriaco generale Melas riuscì d’impadronirsene nell’ultima guerra della rivoluzione francese colla sua potentissima artiglieria. Ma viva e lunghissima fu pure la reistenza, che ei dové soffrire non solo dagli assediati delle sue fortificazioni, ma anche da tutti gli abitanti, che si difesero con un coraggio piuttosto unico che raro. Divenuti i Francesi signori dell’Alta Italia per la famosa vittoria di Marengo, tutte le fortificazioni della valorosa città furono distrutte.

geografia, italia ed europa, storia

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