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Lingua

Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, 1875

Violetta del Goceano. Romanzo contemporaneo

Marcello Cossu

pp. 16-17
Tu vi noti un'onda che placida scorre sull'erbetta, ragionando d'amore, e un zeffiro che giocondo piove nembi di fiori e reca sull'ali aurate i sospiri d'un anima amante. Ci vedi vasti campi fioriti, e molti seggi profumati, ove scherzano vaghissime ninfe ed amori, e v'intrecciano danze e carole; e queruli rivi e trasparenti, e argentei laghi tranquilli, ove saltellano cigni e sirene, e v'innalzano flebili canti armoniosi. Onde il tuo animo resta inebriato per sublime dolcezza, e i tuoi sensi illusi, gustano la soavità delle gioie, dei piaceri, e le lusinghe tutte della voluttà. Ed ora vi rimiri il cielo scintillante di vivide stelle, che paiono amoreggiare coll'argentata luna, ora rosseggiante di porpora e d'astro per l'apparire d'Aurora – or splendido, abbarbagliante al folgorar di Febo. Ed ora ve lo rimiri fosco e minaccioso, solcato da quando a quando, da sanguigni lampi; e v'ascolti il terribile tuono che freme, il turbine impetuoso che conquassa, l'uragano che imperversa. Il mare vi guardi come immensurabile cristallo in cui si specchi il firmamento, o come cerule piano trascorrente, ove tritoni e neridi gareggiano nel corso.

colori, flora e fauna, geografia, leggende, lingua

p. 17
Vedi le invite armi dei Crociati affrontare con impeto sovrumano il Barbaro feroce – e rintuzzargli ben mille volte e mille l'insano ardire; e sconfiggerlo e fugarlo in piena rotta, anche a dispetto dei prodigi e delle furie d'averno.

lingua, storia

p. 17
Vedi farsi la strage a monti, scorrer il sangue a rivi; e fra le grida di feriti e moribondi, e l'orrendo fischio di frombole e di saette, innalzarsi il marziale canto della vittoria. E qui stupidisci alle prove straordinarie del prisco valore; e ammiri la vetusta vigoria, l'inimitabile destrezza, l'incorruttibile coraggio, il generoso ardire, il santo egoismo degli antichi Cavalieri.

geografia, lingua, modi di dire

pp. 18-19
Esule fin dai verd'anni dalla sua patria, Sorrento, ove nacque l'anno 1544, Torquato Tasso ramingò per l'Italia con suo padre, caduto ingiustamente in disgrazie del suo principe – e fino a che , non si riducessero entrambi a prendere ferma dimora in Padova. Ivi il Tasso frequentò con grande profitto le pubbliche scuole, e non tardò a manifestarsi in lui un sublimissimo ingegno e uno svegliato poeta; tant'è, ancora giovinotto diede alla luce di molte poesie, e pose mano a quel celebre poema, che doveva poi onorare tutta l'Italia. Fin d'allora, e nella fresca età di ventun anno, per la fama delle sue giovanili, fu invitato e accolto onorevolmente nella corte di Ferrara. Colà il Tasso, terminò di scrivere e pubblicò la sua Gerusalemme. [...] Ella fu la principessa Eleonora, sorella del Duca d'Este, presso cui albergava. Ella lo consolava con dolci e amorevoli parole; e gli addimostrò tanta benignità ed affetto, che il giovine poeta sentissi per lei commuovere, fin nelle più intime fibre del cuore, e l'amò.

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pp. 20-21
E lo sciagurato Duca, anzi che compiangerlo, grandemente s'offende d'un tale amore, condanna il Tasso come pazzo, e come tale lo fa chiudere nell'Ospedale di Sant'Anna in Ferrara. Ivi l'infelice Torquato conobbe l'ingiustizia degli uomini e quanto sia folle l'affidarsi all'amicizia dei grandi... Ma il mondo pur seppe che il Principe, che lo aveva onorato, fu a ciò indotto, non per i meriti di quella gran mente, ma solo per un fasto di sò stesso. Il Tasso languì per ben sette anni! In quell'orrido carcere, oppresso dall'angustie dell'anima; finalmente, per l'intercessione di molti Principi, riebbe la libertà. Inallora fu veduto lacero e sfinito qual pezzente, errare per lungo nelle itale contrade quell'uomo, che tanto aveva onorato la sua patria! Ma la fama che si aveva acquistato delle sue opere, e che sempre più fulgida e gloriosa si divulgava, lo protesse anche nella miseria. E gli fu chiamato a Roma dal cardinale Cinzio Aldobrandini, suo antico amico, il quale – pel singolare affetto che gli nutriva e per i meriti dello straordinario ingegno del Poeta, gli aveva impetrato presso papa Clemente VII, suo zio, la corona d'alloro da conferirgli in Campidoglio. Sorrise il Tasso al maestoso invito, e non perchè gli premesse assai l'alto onore che lo aspettava, ma a sconfiggere finalmente l'invidia dei suoi avversari che lo perseguitava, accettò, e venne a Roma. Là, egli si era ritirato nel pacifico Convento dei frati di Sant'Onofrio colla sicura persuasiva di scendere da quel colle, solo pel trionfo. [...] Era il dì 25 aprile dell'anno 1595. Torquato Tasso fu vittima della crudeltà e dell'invidia degli uomini!

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