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Geografia

Cagliari, Centro di Studi Filologici Sardi / Cuec, 2007

La bella di Cabras

Enrico Costa

p. 93
Milis vi reca i suoi aranci e i suoi limoni; Solarussa la sua vernaccia; Serramanna le sue angurie; Marceddì i suoi frutti di mare; Villacidro le sue ciriegie; Cabras le sue buttarghe e i suoi mugheddus.

geografia

p. 99
L'Angius ci parla della fetidissima palude detta Cea Cuccu.

geografia

p. 107
Don Antonio […] volentieri si era incaricato dell'amministrazione delle molte terre possedute dalla famiglia in Donigala, in Solanas, in Nuraxinieddu e in Simaxis.

geografia

pp. 190-192
Il corteo parte dalla chiesa di Sant'Efisio, costrutta accanto alle sue antiche prigioni, visitate devotamente dai fedeli. Aprono la marcia un centinaio di miliziani a cavallo, col rosso berretto foggiato a cono, e il lungo fucile sardo col calcio appoggiato all'arcione. Il loro capitano li precede colla spada sguainata. Vestono tutti, presso a poco, come i rigattieri. Ai Miliziani tiene dietro la così detta Guardiania, parimenti a cavallo. Essa è composta d'individui che vestono di nero, con tuba in testa, abito a coda di rondine e fascia azzurra alla cintola. Col gomito destro all'infuori e il dorso della mano alla cintola, e colle redini nella sinistra, essi sfilano a due a due, caracollando; e girano la testa a dritta e a manca, in alto e in basso, per farsi ammirare dal pubblico, e dalle signore in particolare. Un cavaliere trova sempre il modo di farsi notare dalla folla, facendo eseguire una piroetta al cavallo. Il timore di venir pesto dall'unghia ferrata d'una bestia briosa ti costringe a guardare in viso l'uomo cavalcatore, la cui fisionomia ti rimane impressa nell'occhio, come nella lente d'una macchina fotografica. Dietro alla Guardiania è l'Alter nosfra due priori, con fascia celeste a frangie d'oro. Questo Alter nos era un gentiluomo che veniva creato ogni anno dal Viceré, come campione della festa. Aveva piena autorità e cavalcava fino a Pula, dove teneva corte bandita per tre giorni, con sfarzo e scialo e con desinari, a cui ogni gente poteva prender parte. Oggi l' Alter nos c'è ancora, ma si nomina quasi da sé, poiché il Viceré da quarant'anni non è più a Cagliari, e il prefetto ha tutt'altro da pensare. Precedono il carro del Santo tre suonatori di launeddas che sbuffano lungo la passeggiata, con tanto d'occhi aperti e con le guancie gonfie come palle da bigliardo. Ti pare debbano scoppiare da un momento all'altro. La loro musica, in mezzo al frastuono della folla, ti fa l'effetto di un migliaio di musconi che battono la testa sui vetri d'una finestra, desiderosi di uscire all'aria aperta. Vien dentro una specie di cocchio elegante (su cocciu) con sopra una nicchia ottagonale chiusa a vetri, dov'è il santo. Questo carro, tempestato di banderuole, di fiori e nastri d'ogni genere, è tirato da due giovenchi neri con le corna fiorite e infioccate. Un tempo quattro giovinetti solevano afferrare ciascuno l'uno dei corni; e in proposito scrive il Bresciani: “...E' beato chi può avere sì bella ventura, da cui spera buona raccolta in tutto l'anno! Guardate fortuna delle cose! Noi invece, quando vogliamo parlare di un uomo, le di cui speranze furono deluse, diciamo corto: rimase con un corno in mano. E forse per questo motivo i corni di Sant'Efisio non sono oggi ambiti da nessuno! Intorno al cocchio è la confraternita di Sant'Efisio, vestita di azzurro e bianco, i due colori del santo. I fratelli portano lunghe aste coi sovrapposti lampioncini accesi. Dietro al cocchio scorgesi una rappresentanza del Municipio co' suoi magazzinieri gallonati, il Capitolo Metropolitano in cappa magna, e infine una folla compatta che si pigia intorno al cappellano, per rispondere alle orazioni che questi va recitando con una cantilena che oscilla fra la musica e la prosa. Il simulacro non ha nulla di speciale. Il santo è vestito da guerriero, con spada al fianco e grandi piume all'elmo. Egli guarda in alto; ha una palma d'argento nella sinistra, e sporge la destra per mostrare al cielo la mano, in cui è segnata una croce rossa, simbolo della fede a cui fu convertito. Del resto non ho nulla da osservare sulla statua, tranne la solita faccia verniciata e i soliti baffetti d'inchiostro di China: stonature convenzionali a cui gli artisti non hanno ancora rinunziato nell'esecuzione dei simulacri dei santi. E' mai possibile che per le faccie non ci abbia ad essere che la vernice dei piatti, e per i baffetti le branche di scorpione, eseguite con due pennellate di nero di fumo? Poveri santi e povera arte! Le tradizioni però, senza intaccare il sentimento religioso, perdono sempre qualche cosa nel cammino che percorrono attraverso ai secoli ed alle nuove civiltà. Nei tempi andati assisteva alla messa il Viceré, il quale partiva dal suo palazzo colle insegne reali, fra schioppi ed alabarde, seguito dalle guardie a cavallo. Terminata la messa egli si recava, entro una carrozza di gala, ad un balcone apprestato in Istampace, e di là assisteva allo sfilare della processione. Oggi il Viceré non c'è più, ed il prefetto pare non voglia surrogarlo. Valery, nel 1836, scrive che nella processione si distingueva fra tutte le congregazioni delle giovinette vestite di un abito azzurro e cinto di un nastro bianco. Ma oggi giovinette non se ne vedono! Il Bresciani, nel 1842, fa menzione dei consiglieri del comune; i quali nella processione vestivano con abito castigliano di velluto, guarnito nobilmente, e gran cappa di velluto cilestre a ornamenti. Oggi la tenuta è più semplice; ed è già troppo che i consigliere si adattino a portare il cero od il baldacchino! Il cocchio col Santo arrivava al ponte della Scaffa; e colà la popolazione festante soleva sdraiarsi sulla sabbia e fra i giunchi per far lauta merenda, scopo finale di tutte le feste del mondo. Quella sosta sull'erba era poetica e Valery la paragona ad una vera festa veneziana, o napoletana. Arrivato a Giorgino – in capo all'istmo che separa lo stagno dal golfo di Cagliari – il Santo viene spogliato degli abiti di lusso e collocato in un carro assai più modesto. In tal modo esso continua il suo viaggio verso Pula.

costumi, geografia, lingua, religiosità

p. 237
Nei matrimoni del campidano, l'uomo è d'ordinario obbligato a fornire la nuda casa, il cui acquisto è frutto di lunghi risparmi: fino a formare la somma necessaria, che varia in media dalle duemila alle cinquecento lire. La sposa, dal suo canto (quando ne ha!) è tenuta a fornire tutto quanto nella casa abbisogna, cominciando dalle più costose masserizie, e terminando nei chiodi per appendere i quadri, i canestri, gli spiedi ecc. Dalla casa della famiglia della sposa partono tre, cinque, dieci carri a buoi – adorni di frasche, di fiori, di banderuole – destinati al trasporto delle diverse masserizie. Questa processione dei carri, eseguita con una certa pompa solenne, forma la parte più caratteristica del corteggio nuziale. Quando non sia una povera (come nel caso di Filomena) all'acquisto ed al trasporto del corredo devono pensare i parenti della sposa, e nel linguaggio del campidano suol dirsi: portai s'azzivimentu. E' d'ordinario uno o due giorni prima degli sponsali che i carri devono sfilare in bell'ordine e ciò per dare tempo a collocare i mobili e tutto il necessario nella casa dello sposo. Nel primo carro, per esempio, viene collocato il telaio, la conocchia, il fuso e simili. Nel secondo il letto, i materassi e le lenzuola. In altro la macina, a cui tien dietro l'asinello, carico di fiocchi e di fiori, come fosse anch'esso uno sposo; in altro il tavolo da fare il pane; e poi la biancheria, le vesti della sposa, le piramidi delle sedie; e poi la biancheria di cucina; insomma, chi più ne ha più ne mette! Per ricevere e mettere a posto i diversi oggetti, non appena i carri arrivano alla casa, vengono incaricati i parenti dello sposo. Alla sposa non è permesso di oltrepassare la soglia della casa maritale, se non nel giorno in cui ve la condurrà lo sposo, dopo la benedizione. E' facile comprendere quanto i parenti della sposa tengano ad esporre al pubblico tutto quel ben di Dio, disposto su d'una dozzina di carri, adorni di frasche, fiori, bandiere e non so che altro. Nei tempi andati queste cerimonie erano più accurate e sontuose che non lo siano al presente; e non di rado i carri erano preceduti da una schiera di fanciulle e giovanotti, incaricati di recare a mano gli oggetti più fragili e preziosi.

costumi, geografia, lingua

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