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Costumi

Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941

Colombi e sparvieri

Grazia Deledda

pp. 197-198
Gli altri fantini, scalzi e a testa nuda, si sbeffeggiavano a vicenda lodando ciascuno il proprio cavallo [...] in lontananza sui dirupi dardeggiati dal sole nereggiava la folla qua e là come macchiata di sangue: il rosso dei corsetti paesani.
La fame e il calore del sole mi davano il capogiro; guardavo con ansia i cavalli più belli del mio, ma speravo di vincere almeno il secondo, almeno il terzo premio. Era necessario; bisognava che portassi a casa almeno cinque lire. Finalmente un uomo ci dispose in fila e batté le mani. I cavalli partirono come freccie fra nuvole di polvere e ben presto io, che fin da principio m'ero trovato fra gli ultimi, mi vidi solo, curvo sulla criniera umida del cavallo ansante, solo, ultimo, votato allo scherno della folla. Vinto da un'angoscia profonda cominciai a urlare per aizzare il mio cavallo; ma gli altri correvano sempre avanti ed io avevo l'impressione che si inseguissero e scappassero l'uno dopo l'altro pazzi di terrore e di rabbia.
Ma il più folle era il mio, ed io quasi del tutto disteso sulla sua groppa ardente più che guidarlo mi lasciavo trasportare da lui. Allo svolto sopra la fontana il cavallo che precedeva il mio inciampò e rallentò la corsa: in un attimo lo raggiunsi, lo sorpassai e il coraggio mi ritornò. Mi sollevai urlando: il cavallo come preso da un impeto di gioia nitrì e raddoppiò di velocità. Ecco sorpassato un altro cavallo, poi un altro ancora... Mi pareva un sogno. Prima di arrivare all'abbeveratoio, dove già la folla guardava e gridava, raggiunsi e sorpassai gli altri cavalli. Il  cuore mi batteva violentemente; vedevo tutto intorno grandi macchie rosse e sentivo come un ronzìo di api. La gioia mi dava le vertigini. Non pensavo più a niente, né al premio né alla matrigna; solo, all'improvviso, sentii una voce che mi fece tremare:
- Bravo, Oronou, bravo!.
Ma alla voce del padrone il cavallo sussultò e si scosse violentemente come per liberarsi del mio peso, ed io precipitai sulla polvere come un sasso buttato dall'alto...
La polvere mi parve rossa, i ferri del cavallo che mi passava sopra mi percossero la testa come martelli... Ma più che il dolore mi fece svenire il grido di terrore della folla.

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p. 200
Se la nebbia passava sul mio capo il vento la portava subito via: e le donne erano vestite di nero e di giallo, di panno ruvido e di velluto rasato, come se rappresentassero il giorno e la notte assieme, ma senza crepuscoli, l'amore e l'odio ma senza pervertimenti.

colori, costumi

p. 202
Sotto il portico ove si sgozzavano i capretti e si scorticavano le pecore, la scena aveva alcunché di rituale, simile ad un sacrifizio accompagnato da canti e danze in onoredegli sposi.

costumi, flora e fauna

p. 203
Mi pareva d'essere su una montagna illuminata dalla luna, tra roccie fantastiche e tronchi d'alberi fossilizzati, e che noi tutti che formavamo il circolo del ballo tondo fossimo uomini primitivi riuniti per una danza sacra dopo la quale ciascuno di noi poteva portarsi via la sua compagna e folleggiare con lei nel paesaggio lunare, nascondendosi entro le grotte, baciandosi all'ombra delle quercie, vivendo insomma secondo il suo istinto e il suo desiderio.

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pp. 205-206
Dopo quest'avventura io decisi di chiedere al vecchio la mano di Columba, e siccome egli teneva molto alle usanze del paese, una domenica mattina mio padre andò in casa dei nostri vicini e sedette davanti al focolare domandando: - Remundu Corbu, io ho perduta un'agnella che formava l'onore del mio gregge. Era bianca, coi peli arricciati, morbida come la prima neve. Tu che giri per le campagne l'hai vista, per caso? per caso non s'è mischiata al tuo gregge?.
- Remundu Nieddu, nel mio gregge ci son tante agnelle, una più bella dell'altra: può darsi che la tua ci sia; bisognerebbe andare a vedere.
E così di seguito finché entrò Columba. Allora mio padre balzò in piedi e batté le mani.
- È proprio questa l'agnella che cercavo.

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