Storia
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
p. 304
Tra i «signori», Angelo e Francesco erano le persone che stimava di più; eppure la condizione dei minatori del Sulcis li lasciava indifferenti ed era chiaro che lo sciopero, per quanto causato da ragioni valide ed evidenti, non aveva la loro approvazione.
p. 312
Dal fondo della piazza volò un sasso che passò sopra la folla e finì contro i vetri della falegnameria. Fu l’inizio di un crescendo. I sassi ormai cadevano fitti quando, nel panico di un istante che sarebbe difficile scomporre nella fulminea successione cronologica, qualcuno, rimasto sempre sconosciuto, diede un ordine secco ed energico che i soldati eseguirono automaticamente. Come un solo uomo si fermarono, puntarono a terra il calcio dei fucili, inastarono la baionetta; poi con gesto rapido, sicuro, fecero scorrere il carrello di caricamento, misero la pallottola in canna.
p. 318
laquo;Voi conoscete come si vive e si lavora a Bugerru» […] «Li hanno fatti venire a Bugerru per spararci addosso e loro hanno sparato».
p. 327
Sarebbe stato diverso per i piccoli proprietari di pecore e di capre, i quali avrebbero avuto il pascolo a un prezzo inferiore e, in un futuro non lontano, addirittura gratuitamente, come nei tempi andati quando la terra era di tutti come l’aria, le nuvole e il cielo.
p. 328
La legge delle chiudende aveva creato forzosamente la proprietà privata, distruggendo l’equilibrio della vita comunitaria e dando luogo all’insanabile dissidio tra contadini, divenuti improvvisamente proprietari e i pastori costretti al nomadismo, sempre in cerca di un pascolo per il branco affamato, quel branco che era la loro unica risorsa e che erano pronti a difendere a qualunque costo.