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Gente

Roma, Maglione e Strini, 1923

La razza. Frammento di recentissima storia

Romolo Riccardo Lecis

p. 245
Sappiamo di quanta gloria si circondi il nome del soldato sardo. Non c’è forse chi stima il soldato sardo come il primo soldato del mondo?
Se nell’elogio c’è un’iperbole è però sintomatico che a noi isolani si tributi tanta lode e tant’amore!
"Gli è che il soldato sardo sa votarsi eroicamente al sagrificio. Una virtù di razza, forse? Chi sa! Ma, ad onor del vero, non sarà al mondo chi disconosca che quest’umile fante isolano, posto nel cimento e nel rischio, diventa di altissima statura!".

gente

pp. 245-246
"A me pare che sulle alte montagne, sulle vette gelate, fra ogni più triste disagio, essi pensino sempre le montagne della loro Sardegna, e che in questo pensiero essi, dico, debbano struggersi di un infinito amore per la patria stessa!
Io ho la certezza, infine, che non ci sarà tra i Sardi – se sarà necessario – uno solo che esiti a sagrificare la giovinezza e ogni cosa più supremamente diletta per le sorti della grande causa…
Il fatto si è che qui in Sardegna, nella forte e bella terra d’Abruzzo, nella severa Calabria, nell’altra grande isola sorella, anche, (e con questo non escludo che i combattenti d’Italia tutti, di qualunque altra plaga, di qualunque regione veramente italica possano gareggiare in eroismo ed in bravura) ci si nutre dell’onore come del pane. Sia ringraziato Iddio che ha voluto preservare da qualsiasi contatto corruttore questo tesoro morale!".

gente, geografia, italia ed europa

p. 265
Niuno, forse, più del sardo è portato a sentir romanamente.
Fermamente credo che il sardo sia il vero unico erede di Roma antica. Il tesoro di energia che gli fa ricco il cuore e gli ha lasciato una tradizione gloriosa nel mondo – tradizione cementata di sangue in questi ultimi anni – appare tanto più notevole in quanto è gelosamente e furentemente preservato contro l’insidiosa "fortuna" che avversa la Sardegna. E la gente sarda rimane una razza.

gente

pp. 279-280
Dal tenue tema sull’opportunità dello scioglimento della brigata "Sassari" ch’era ingrata e sudicia notizia ventilata fin dalla cessazione delle ostilità e dalla conclusione dell’armistizio, si trascorse all’accenno delle molte benemerenze non pure di quella brigata che il mondo sapeva stracarica di allori, ma di tale popolo d’artieri, combattenti, lavoratori che la storia e il buon uso latino ribattezzarono due volte nel nome di "Sardo" l’insipienza corrotta "Sardignolo". (279-280)

gente, lingua, storia

pp. 300-311
V’è un popolo nella nostra Italia che non è ancora quanto occorre conosciuto ed apprezzato: un popolo ancora vergine come la sua terra pur dopo secoli e secoli di lotta, di lavoro, di tempeste, di invasioni che non gli han potuto mutare anima o faccia; che conserva per tutto il territorio attraverso tanti secoli le sue antiche tradizioni millenarie patriarcali – severe e originali: un popolo lavoratore per eccellenza, attivissimo, sveglio, sagace, sempre in moto, sempre in azione: un popolo irrequieto, in una parola, che dà ragione alle leggi di natura, sempre quant’è giusto, recalcitrante al comando altrui e indipendente di consiglio, libero come nell’azione così nell’idea: un popolo ricco d’ogni sana virtù a incominciare dalla sobrietà misurata dei saggi per finire in una correttezza integra di costumi che la Grecia non conobbe ai tempi del Giusto: un popolo sempre generoso per il fratello, spesso generoso per il nemico, se pur violento e quasi irruente nella passione dell’amore e in quella dell’odio a simiglianza del popolo primitivo – infine un popolo che ancor oggi come cento, mille anni or sono fa dire di sè: "Mantiene vivo ed alto il culto del fuoco e del focolare" e verso il quale, chiuso il terribile periodo della guerra più sanguinosa e fatale che siasi scatenata sul mondo, resta all’Italia un debito di gratitudine immensa.
Questo popolo è il popolo Sardo. […] E c’è innanzi tutto il carattere psichico della razza da rilevare... […] Fu già detto: "Il carattere psichico di quella tal razza barbara e selvaggia nel gran mondo morale… […] è, dunque, un delitto e un’ignominia che di un popolo simile, raccolto nella gloria solitaria del proprio lavoro, eletto per integrità di opere e di vita incorrotta, severo per il punto d’onore assai più che per la vita stessa – si debba scrivere per concludere in un modo o nell’altro: "La razza è di banditi, o di barbari, o di grassatori o di delinquenti".
Vergognatevi, critici di ciato e di cibrei! V’è chi per i vostri copiosi libri, per le vostre copiose riviste saprà suggerire un degnissimo uso! […]
Epperò dobbiamo anche spiegarci, noi Sardi, le vostre asserzioni calunniose.
Possiamo, sì, anche spiegarcele…
Ecco dunque come stanno le cose… È un punto assai importante su cui far luce, questo! Voi, qui giunti, avete visto che manca l’utile, che manca il necessario e l’indispensabile nei nostri paesi… E ve ne andate… Con gran pro della popolazione.
Quando, dopo quel po’ di penosa villeggiatura, ne siete ripartiti, avete sentito qualche dolore strano: un po’ al petto, a motivo dell’aria ancor essa troppo ruvida, un po’ al capo, un po’ a tutte le ossa; e avete concluso: "Un luogo d’inferno, una vita da selvaggi, fra orrori di natura e orrori di popolo ».
Avevate assistito alla scena di quattro ubbriachi che si pestavano le ossa (nelle città questi son fatti che non si curano) e avete anche detto: "È della gente che incomincia da quel primo grado di degradazione umana ch’è lo stato selvaggio per finire all’ultimo ch’è la delinquenza, il brigantaggio, il delitto".
Era giunta a voi eco, in un remoto paesucolo di Sardegna, di un omicidio consumato per vendetta personale… Ebbene, superato a stento il moto di una sincera apprensione per la vostra salute, avete riafferrato tutto il vostro coraggio quanto siete rientrati nei vostri luoghi, e allora avete scritto: "Sono uscito da un covo di assassini. La Sardegna è tutto un paese abitato da simile triste genia di gente"!
Infine, avevate notato che in tal piccolo borgo la popolazione era onestamente preoccupata della presenza di quattro facinorosi che vi portavano il lutto e l’ira partigiana; e avete così interpretato: "Sono luoghi dove dominano lo squallore, la morte, lo spavento! Lupi e agnelli sgozzati da lupi! E la giustizia è anch’essa trascinata nel gorgo".
Ora io vi avverto: Non sapete forse quel che vi dite.
Se si fa per avere un argomento sul quale tessere di bei romanzi, potete inventare finchè ne trovate, ma allora siete delle teste vuote a mezzo e delle coscienze vuote fino al fondo: di che e perchè dovete sentirlo. […]
E se si tratta di scriver di torve avventure dando ad esse per ambiente la Sardegna come la terra che maggiormente può offrire di opportunità di luoghi e di colori, rischiando di comporre in diverso intreccio ma in istessa sostanza un’altra "Caccia grossa" allora, per non concluder altro, abbiate l’animo di scrivere anche una confessione e dirne: "Ciò che ho detto, ciò che dirò è tutto trama della mia immaginazione ch’è – se non lo sapete – fecondissima e vivacissima al punto da apparire straordinaria e terribile". Basterà. E forse nessuno vorrà suggerirvi la casa di salute. […]
Attentamente egli avrà studiato, forse, lo strano costume dei pastori e dei popolani. Ma quel costume di pastore, di popolano a lui, che, galante raffinato, sarà piovuto probabilmente dal cielo delle costellazioni aristocratiche, avrà dato a vedere – racchiusovi dentro – o un orsacchiotto o un bandito o un selvaggio o una qualche larva di delinquenza disgregatasi dalle ombre per tornare nella notte…
Verità dolorose!
È uno straniero siffatto che ha l’audacia sfrontata di lanciare un giudizio e condannare! […]
Confortatevene, e dunque sappiate che noi isolani sentiamo di portare un’impronta distinta nel sangue, un’impronta sana, indistruttibile, vigorosa di forza vergine, di vergine ardore. E vi dico, in verità, e dico altresì a chiunque figga occhio in questo discorso breve: La storia della Sardegna per una parte si è scolpita nei secoli che hanno da venire con l’opera indefessa ed eroica dei suoi figli, in gloria di amore e di dolore purissimi, col loro sangue vermiglio corso a fiotti e senza rimpianti vani innanzi all’ara del sagrificio, con l’olocausto, santo e benedetto di giovinezze che sono interminabile legione… - Per un’altra parte, per la rivelazione della natura intima, latente, preziosa della razza che ascende, la sua gloria ha da essere scritta sotto i lampi del vero sacro da mano forte e sicura: sarà un bel monumento in onore della terra paziente, del popolo atleta. Anche sarà, forse, un vanto per l’Italia. A cui sia salute!

gente, limiti, modi di dire

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