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Italia ed Europa

Roma, Tip. G. Ciotola

L'eremita di Ripaglia ossia l'antipapa Amedeo VIII di Savoia

Stefano Sampol Gandolfo

pp. 135-136
Come i rivoluzionari amici della Casa di Savoia, saccheggiando in questi nostri tempi le reggie delle antiche signorie italiane, s’impossessarono anche dei loro archivi particolari e privati, e vi gettarono gli occhi e i segreti, le confidenze di famiglia e del cuore più rispettabili gettarono pascolo alla malnata curiosità plebeia; così un’altra rivoluzione, la napoleonica, sul principiare del presente secolo, avea operato nelle reggie dei principi di Savoia. Quando cioè, cacciati dal trono del loro Piemonte, e costretti a rifugiarsi poveri nella poverissima isola di Sardegna, dovettero anch’essi assaggiare le delizie, che oggi i loro amici rivoluzionari piemontesi fanno assaggiare agli esuli di Parma, di Modena, della Toscana e delle Due Sicilie.

italia ed europa, storia

pp. 173-174
Discendano, o no, da quel fanatico Valdo, cosa che a noi poco importa di qui ricercare, il quale incominciò a dommatizzare in Lione l’anno 1180, presumendo di voler ridurre, come tutti i settarii, il Cristianesimo alla sua semplicità primitiva; è un fatto ch’esso penetrò nel secolo undecimo anche in Piemonte, e che ivi stabilì ed ingrossò la sua setta tra le valli del Chisane e del Pellice. Come è un fatto che noi li troviamo fin dai più remoti tempi condannati come discepoli degli Arnaldisti e degli Albigesi, sottoposti all’accusa di avere rinnovato gli errori di Vigilanzio sul culto dei santi e delle sacre reliquie, sulla gerarchia cattolica e sulle cerimonie ecclesiastiche: imputati di avere proclamato gli errori dei Donatisti sulla nullità dei sacramenti conferiti da ministri indegni, e di avere infine adottate le massime degli Iconoclasti.

italia ed europa, religiosità, storia

p. 174
Come tutte le sette politiche, che si nascondono sotto il mantello della religione, e che aspirano ad imporsi, ad estendersi e a dominare, i Valdesi, per la insipiente protezione loro accordata dai principi Sabaudi, noi li troviamo, poco dopo il secolo in cui ci aggiriamo, siffattamente estesi nelle valli del Delfinato, a Torino, a Chieri, in Genova, a Firenze, a Venezia e persino in Puglia e in Calabria.

italia ed europa, religiosità

pp. 200-202
Si può asserire, senza tema di essere smentiti, che in fatto di sacri templi, di tutte le città italiche la meno notevole è Torino, la capitale del Piemonte antico.
La stessa sua metropolitana, che vuolsi fondata dal Duca Longobardo Agilulfo sul principio del secolo VII, e ricostruita nel 1498 sul disegno di Bramante, ad eccezione della sua grandiosa Cappella Reale del Santissimo Sudario, nulla offre, che sia degno di osservazione.
A questo imponente santuario, che fa seguito alla Reggia, e che ammirasi in gran parte anche dalla sottostante Cattedrale per mezzo di una maestosa arcata sorretta da colonne, ascendesi per una pregevole gradinata.
Innalzato d’ordine del Duca Carlo Emanuele II sul disegno del Guarini, per la sua forma rotonda, per le sue ricche colonne e pei suoi pilastri di marmo nero a basi e capitelli di bronzo, è l’interno di quella ricchissima Cappella Reale, più che severo, mestissimo.
Vi ha chi si ostina a sostenere che la sua cupola è singolare, ma per la licenziosa stranezza delle sue forme, che è un vero sfregio dell’arte architettonica. Singolare non è neppure l’altare, benché disegno del Bertola e ricco a profusione stucchevole di ornati del Borelli. Singolare ed ammirabile è la duplice preziosissima sua cassa, che racchiude la Santa Sindone, il venerabile lenzuolo, in cui venne raccolto dal pietoso Giuseppe di Arimatea il Corpo Augustissimo del Redentore.
Santissima, adorabilissima Reliquia, che trasportata in Europa nel 1187 da una famiglia espulsa da Gerusalemme dal feroce Saladino, acquistata da un Goffredo di Charny della Sciampagna, fu dalla costui figliuola ed erede, andata sposa ad un gentiluomo del nostro Duca Amedeo VIII, dopo molte vicissitudini donata ai principi della Casa di Savoia.
I quali, dopo averla riverentemente ed a seconda dei tempi trasportata ora da Chambery a Vercelli, ora da Vercelli nuovamente, per secondare i desiderii del popolo, a Chambery, ora da Chambery al Castello di Lucento per ivi sottoporla all’adorazione di S. Carlo Borromeo a tale oggetto pellegrinante, venne finalmente rinchiusa là, ove oggi splendidamente la vediamo, e adoriamo. Checché abbia scritto contro la sua autenticità la immonda penna di un Calvino e di altri ignobili suoi detrattori.
Grande, bisogna dirlo, fu in ogni tempo la devozione dei Principi e delle Principesse dell’augusta casa di Savoia per questa prodigiosa e taumaturga Immagine del corpo Santissimo del Salvatore.

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pp. 216-217
Avvi nel Piemonte antico una città. […] Ed è questa la città di Cuneo.
[…] Nello sbocco che fanno il Gesso e la Stura delle vallate alpine nella pianura adiacente, essi convergono talmente col loro alveo, che dopo aver lambito, il Gesso a levante e la Stura a ponente, una specie di promontorio, ultimo dei colli subalpini, confondono insieme le loro acque.
Questa pittoresca altura, circonvallata in tre lati dai fiumi e chiusa a ponente dalle montagne, veniva sagacemente additata nel 1120 da un accorto abitatore del Castello di Caraglio ai suoi compatriotti, come luogo di sicuro asilo contro i vilissimi oltraggi e contro la tirannide dei feudatari loro signori. Consiglio saggio, che come tale unanimemente riconosciuto, e unanimemente adottato, fu l’origine in breve della fondazione di Cuneo. Denominazione codesta anche felice, perché conveniente alla forma che presero i suoi fabbricati; conica essendo appunto la figura del colle, su cui sorgevano e che inespugnabile spesso la rese e per le sue inclinatissime pendici sopraposte ai due fiumi, e perché da un lato solo accessibile.
Primi infatti a sperimentare la resistenza delle sue fortezze furono nel 1374 i Brettoni. Pretesero nel 1484 di assediarla e di assaltarla i marchesi di Saluzzo, quindi per ben tre volte i francesi dal 1548 al 1691; e finalmente i galli ispani condotti dal celebre principe di Conti; ma inutilmente; ché furono vergognosamente e sempre respinti. Solo all’austriaco generale Melas riuscì d’impadronirsene nell’ultima guerra della rivoluzione francese colla sua potentissima artiglieria. Ma viva e lunghissima fu pure la reistenza, che ei dové soffrire non solo dagli assediati delle sue fortificazioni, ma anche da tutti gli abitanti, che si difesero con un coraggio piuttosto unico che raro. Divenuti i Francesi signori dell’Alta Italia per la famosa vittoria di Marengo, tutte le fortificazioni della valorosa città furono distrutte.

geografia, italia ed europa, storia

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