Modi di dire
Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Colombi e sparvieri
Grazia Deledda
p. 276
- Sì, ti dico, Zuampredu Cannas, una volta m'era venuta in mente l'idea di comprar cavalli e di rivenderli: tutti mi portavano a vedere le loro bestie e tutti cercavano d'ingannarmi. E uno non tinse il suo cavallo canuto, come fanno certe donne coi loro capelli, a quel che ho sentito raccontare?... Rido ancora pensandoci. No, figlio mio, ognuno deve fare il suo mestiere; ognuno deve calzare le scarpe che van bene al suo piede...
p. 283
- Il mio padrone è un'aquila, mettetevelo bene in testa: anche quando sembra distratto è come l'aquila che ha le ali piegate e par che dorma, e invece pensa a spiccare il volo.
p. 325
- Basta, Columba! Taci una buona volta, o ti strappo di bocca quel serpente di lingua, Ah, - disse poi quasi soffocato dall'ira, scostandosi e battendosi la testa col pugno, - perché son vivo? Nemici ne ho avuto, da combattere, ma nessuno come te, nipote mia... Meglio m'avesse colto una palla in mezzo alla foresta, e i corvi m'avessero spolpato come una pecora...
p. 331
Meglio non far nulla; meglio restare immobili come il nostro Jorgj Nieddu: egli solo è il forte: noi andiamo, andiamo, giriamo come farfalline intorno al lume, cadiamo con le ali bruciate..
p. 371
Basta, poiché prete Defraja insisteva, misi la sella al cavallo e partii; trovai l'uomo lassù, nell'ovile di Innassiu, buttato in un angolo come un cinghiale ferito; aveva la febbre e delirava raccontando come entrò in casa mia, come rubò, come nascose i denari; e parlava di te, e ti rivolgeva la parola, chiamandoti come un bambino, domandando perdono.