Italia ed Europa
Roma, Tip. G. Ciotola
L'eremita di Ripaglia ossia l'antipapa Amedeo VIII di Savoia
Stefano Sampol Gandolfo
pp. 46-48
La città di Ginevra nella suindicata circostanza del tradimento del vescovo e della prepotenza di Carlo III, si divise naturalmente in due fazioni accanite; chiamata una degli Eydgnotsz, che significava confederati e che era composta dei più zelanti sostenitori delle franchigie antiche, e denominata l’altra dei Mamalucchi, ossia schiavi, che comprendeva i ribelli, i rivoluzionari, i seguaci e gli amici dell’ambizioso e prepotente Duca Carlo III di Savoia.
Aspra e lunga fu la lotta fra fratelli e fratelli. Vili furono le arti tutte, che adoperava il Duca di Savoia per guadagnarsi gli animi dei Ginevrini ricalcitranti al suo dominio. Tanto vili, che anziché riconoscerlo per loro sovrano, amarono meglio, in un eccesso di disperazione, di unirsi e di allearsi ai due cantoni svizzeri di Berna e di Friburgo, che li ricevettero per loro amici e come fratelli.
Il Consiglio generale dal popolo di Ginevra, visto che non vi era altra via da salvare la sua indipendenza e da mettere un termine alle sanguinose discordie, accettò solennemente quell’alleanza il 23 febbraio del 1526, malgrado l’opposizione del novello vescovo monsignor Pietro della Baome.
[…] È quest’alleanza coi cantoni di Berna e di Friburgo, cagionata dalle usurpazioni e dai tradimenti del Principe Carlo III della Casa di Savoia, che rovinò intieramente, che distrusse intieramente la religione cattolica nella bella città di Ginevra.
[…] Entrarono le soldatesche alleate in Ginevra, ma vi si abbandonarono alle più infami violenze non solo nelle terre dell’odiato Savoiardo, ma anche in mezzo alla cattolica popolazione della città.
[…] Esasperati da tante ribalderie e da tanti insulti, gli animi dei ginevrini e le loro cattoliche coscienze reagirono finalmente, sicché presero le armi e scesero in campo contro i loro pretesi liberatori.
Durò ben quattro anni la fierissima lotta entro le mura stesse della città di Ginevra. Finché il Gran Consiglio, che a dir vero avea sempre sostenuto i cattolici, dovette per necessità di pace e per evitare ogni ulteriore spargimento di sangue, proclamare l’infausto decreto, che era libero a tutti di abbracciare e di professare pubblicamente la religione che più loro piacesse.
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Affettuoso, commovente fu il primo incontro del degno Vescovo col grande Pontefice Eugenio IV nella modesta camera, che il perseguitato ed esule Vicario di Cristo occupava a quei giorni nel chiostro di S. Maria Novella.
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Sul cominciare del secolo medesimo, terminato il secondo regno italo in Arduino, che si rifugiava in un chiostro, e spentasi in Bosone la linea dei re delle due Borgogne, l’imperatore Corrado il Salico investì della signoria della Moriana, e dicono anche di una porzione della Valle d’Aosta, Umberto dalle bianche mani, povero conte feudatario di un piccolo distretto montuoso della Savoia, il quale risiedeva nella Rocca di Carbonara, situata sull’ermo dirupo sovrapposto ad Acquabella, non lungi dalla confluenza dell’Isero coll’Arco.
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Oddone, figliuolo di Umberto [dalle bianche mani], porgendo la mano di sposo alla tanto celebre Adelaide di Susa, figlia unica ed erede di Manfredi II, ultimo marchese d’Italia, incominciò verso il 1045 ad estendere la sua sovranità di qua delle Alpi, procacciando poi ai suoi successori il possesso della Marca di Susa, la quale comprendeva tutte le valli alpine chiuse tra la Dora Baltea e il Pesio.
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La marchesa Adelaide [di Susa] avea già smembrato le sue provincie per costituire una dote alla sua nipote Beatrice, dal che prese origine la dignità dei marchesi di Saluzzo, i quali, sebbene tenuti a riconoscersi feudatari della Casa di Savoia, le furono però sempre ostili. Come le furono sempre ostili i marchesi di Monferrato, i conti di Biandrate, ed i signori di Busca. E come le furono sempre ostili le signorie d’Alba, di Cuneo, Bene, Chieri, Mondovì, Savigliano, Alessandria, Nizza della Paglia, Fossano, Cherasco, Carmagnola ed altre illustri città, che per isfuggire alle ambiziose mire e alle invaditrici tendenze dei Savoia, sull’esempio della indomita città d’Asti, si proclamarono indipendenti, e si costituirono in tante repubbliche.
Repubbliche, città libere e indipendenti, che i signori di Savoia, tanto oggi in grido di amanti di libertà e di indipendenza, […] assaltarono, saccheggiarono, distrussero.
Così progredì, così s’ingrandì sempre la Casa di Savoia sino ad Amedeo VII, col quale finì la linea dei Conti di quella Casa, per dar principio nei primordi del secolo XV alla linea dei Duchi con Amedeo VIII.