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Costumi

Cagliari, Centro di Studi Filologici Sardi / Cuec, 2007

La bella di Cabras

Enrico Costa

p. 189
Quella di Sant'Efisio è senza dubbio la festa più solenne, più splendida e più popolare dell'isola. Valery scrisse che nessun'altra in Italia gli parve degna di essere pareggiata; e il Bresciani la chiamò del pari uno spettacolo presso che unico nella penisola italiana.

costumi, religiosità

pp. 189-190
Verso la metà del secolo XVII la peste penetrò in Sardegna e vi fece strage. Entrato il morbo anche a Cagliari, vi seminò il lutto e la desolazione dal marzo del 1655 al novembre del 1656. Fu allora che il popolo ricorse ai suoi protettori: la Vergine di Bonaria e il martire Sant'Efisio. Le ossa di quest'ultimo, esistenti un tempo a Pula, erano state trasportate dai pisani nella loro patria: e volendo i cagliaritani possederne qualche reliqua, si pensò d'inviare a Pisa due religiosi delle scuole Pie, con lettere di supplica dell'Arcivescovo, del Viceré e del magistrato della Reale udienza. L'Arcivescovo di Pisa ed il duca di Toscana vollero appagare il desiderio dei sardi, consegnando le relique richieste; le quali a Cagliari furono portate in processione, con pompe splendide e festini d'ogni genere. Ciò nel 1654. Pare però che queste reliquie non fossero sufficienti; poiché tre anni or sono – nel 1885 – fu mandato un nuovo messaggio a Pisa, per domandare altre ossa del santo. Tanto è vero, che a Cagliari si crearono Comitati, si promossero sottoscrizioni pubbliche e si preparò una solenne processione, dando pretesto a feste straordinarie, miste di civile e di religioso; per cui si fecero esposizioni, mostre artistiche, lotterie, e non so che altro. Andiamo però avanti. O meglio, torniamo indietro. Cessato il contagio, il popolo devoto rese grazie al santo, e volendo in qualche modo attestare la sua riconoscenza, deliberò di trasportare ogni anno, nel primo di maggio, il simulacro di Sant'Efisio, dalla sua chiesa di Stampace al villaggio di Pula e di riportarnelo tre giorni dopo: il quarto dello stesso mese. Il primo viaggio del santo a Pula ebbe luogo nell'anno 1657 e d'allora in poi si continuò questo pellegrinaggio, tramandato fino ai nostri giorni. Oltre un secolo dopo – nel gennaio del 1793 – la repubblica francese, come ognuno sa, bombardò la città di Cagliari da una parte e l'isola della Maddalena dall'altra. I cittadini cagliaritani ascrissero a Sant'Efisio la vittoria da esse riportata; motivo per cui si accrebbe il fervore religioso. Né furono solamente i sardi che si entusiasmarono  per questo fatto. Il papa Pio VI decretava, che il rito dell'Uffizio di Sant'Efisio, da doppio maggiore si elevasse a doppio di prima classe, coll'ottava per la Diocedi di Cagliari e per tutta l'isola e l'Uffizio stesso, sotto il rito doppio minore, agli altri altri domini del regno di Sardegna. Nella stessa occasione, il medesimo papa inviava a Cagliari una epistola in data 31 agosto 1793, ed un breve del 4 marzo 1796, col quale la Confraternita del Santo veniva innalzata a vera Arciconfraternita. E taccio per brevità tutte le indulgenze plenarie e le altre concessioni, largite per la vittoria riportata sui francesi.

costumi, religiosità, storia

pp. 190-192
Il corteo parte dalla chiesa di Sant'Efisio, costrutta accanto alle sue antiche prigioni, visitate devotamente dai fedeli. Aprono la marcia un centinaio di miliziani a cavallo, col rosso berretto foggiato a cono, e il lungo fucile sardo col calcio appoggiato all'arcione. Il loro capitano li precede colla spada sguainata. Vestono tutti, presso a poco, come i rigattieri. Ai Miliziani tiene dietro la così detta Guardiania, parimenti a cavallo. Essa è composta d'individui che vestono di nero, con tuba in testa, abito a coda di rondine e fascia azzurra alla cintola. Col gomito destro all'infuori e il dorso della mano alla cintola, e colle redini nella sinistra, essi sfilano a due a due, caracollando; e girano la testa a dritta e a manca, in alto e in basso, per farsi ammirare dal pubblico, e dalle signore in particolare. Un cavaliere trova sempre il modo di farsi notare dalla folla, facendo eseguire una piroetta al cavallo. Il timore di venir pesto dall'unghia ferrata d'una bestia briosa ti costringe a guardare in viso l'uomo cavalcatore, la cui fisionomia ti rimane impressa nell'occhio, come nella lente d'una macchina fotografica. Dietro alla Guardiania è l'Alter nosfra due priori, con fascia celeste a frangie d'oro. Questo Alter nos era un gentiluomo che veniva creato ogni anno dal Viceré, come campione della festa. Aveva piena autorità e cavalcava fino a Pula, dove teneva corte bandita per tre giorni, con sfarzo e scialo e con desinari, a cui ogni gente poteva prender parte. Oggi l' Alter nos c'è ancora, ma si nomina quasi da sé, poiché il Viceré da quarant'anni non è più a Cagliari, e il prefetto ha tutt'altro da pensare. Precedono il carro del Santo tre suonatori di launeddas che sbuffano lungo la passeggiata, con tanto d'occhi aperti e con le guancie gonfie come palle da bigliardo. Ti pare debbano scoppiare da un momento all'altro. La loro musica, in mezzo al frastuono della folla, ti fa l'effetto di un migliaio di musconi che battono la testa sui vetri d'una finestra, desiderosi di uscire all'aria aperta. Vien dentro una specie di cocchio elegante (su cocciu) con sopra una nicchia ottagonale chiusa a vetri, dov'è il santo. Questo carro, tempestato di banderuole, di fiori e nastri d'ogni genere, è tirato da due giovenchi neri con le corna fiorite e infioccate. Un tempo quattro giovinetti solevano afferrare ciascuno l'uno dei corni; e in proposito scrive il Bresciani: “...E' beato chi può avere sì bella ventura, da cui spera buona raccolta in tutto l'anno! Guardate fortuna delle cose! Noi invece, quando vogliamo parlare di un uomo, le di cui speranze furono deluse, diciamo corto: rimase con un corno in mano. E forse per questo motivo i corni di Sant'Efisio non sono oggi ambiti da nessuno! Intorno al cocchio è la confraternita di Sant'Efisio, vestita di azzurro e bianco, i due colori del santo. I fratelli portano lunghe aste coi sovrapposti lampioncini accesi. Dietro al cocchio scorgesi una rappresentanza del Municipio co' suoi magazzinieri gallonati, il Capitolo Metropolitano in cappa magna, e infine una folla compatta che si pigia intorno al cappellano, per rispondere alle orazioni che questi va recitando con una cantilena che oscilla fra la musica e la prosa. Il simulacro non ha nulla di speciale. Il santo è vestito da guerriero, con spada al fianco e grandi piume all'elmo. Egli guarda in alto; ha una palma d'argento nella sinistra, e sporge la destra per mostrare al cielo la mano, in cui è segnata una croce rossa, simbolo della fede a cui fu convertito. Del resto non ho nulla da osservare sulla statua, tranne la solita faccia verniciata e i soliti baffetti d'inchiostro di China: stonature convenzionali a cui gli artisti non hanno ancora rinunziato nell'esecuzione dei simulacri dei santi. E' mai possibile che per le faccie non ci abbia ad essere che la vernice dei piatti, e per i baffetti le branche di scorpione, eseguite con due pennellate di nero di fumo? Poveri santi e povera arte! Le tradizioni però, senza intaccare il sentimento religioso, perdono sempre qualche cosa nel cammino che percorrono attraverso ai secoli ed alle nuove civiltà. Nei tempi andati assisteva alla messa il Viceré, il quale partiva dal suo palazzo colle insegne reali, fra schioppi ed alabarde, seguito dalle guardie a cavallo. Terminata la messa egli si recava, entro una carrozza di gala, ad un balcone apprestato in Istampace, e di là assisteva allo sfilare della processione. Oggi il Viceré non c'è più, ed il prefetto pare non voglia surrogarlo. Valery, nel 1836, scrive che nella processione si distingueva fra tutte le congregazioni delle giovinette vestite di un abito azzurro e cinto di un nastro bianco. Ma oggi giovinette non se ne vedono! Il Bresciani, nel 1842, fa menzione dei consiglieri del comune; i quali nella processione vestivano con abito castigliano di velluto, guarnito nobilmente, e gran cappa di velluto cilestre a ornamenti. Oggi la tenuta è più semplice; ed è già troppo che i consigliere si adattino a portare il cero od il baldacchino! Il cocchio col Santo arrivava al ponte della Scaffa; e colà la popolazione festante soleva sdraiarsi sulla sabbia e fra i giunchi per far lauta merenda, scopo finale di tutte le feste del mondo. Quella sosta sull'erba era poetica e Valery la paragona ad una vera festa veneziana, o napoletana. Arrivato a Giorgino – in capo all'istmo che separa lo stagno dal golfo di Cagliari – il Santo viene spogliato degli abiti di lusso e collocato in un carro assai più modesto. In tal modo esso continua il suo viaggio verso Pula.

costumi, geografia, lingua, religiosità

p. 192
La popolazione festante soleva sdraiarsi sulla sabbia e fra i giunchi per far lauta merenda.

costumi, flora e fauna

p. 192
Quella sosta sull'erba era poetica e Valery la paragona ad una vera festa veneziana, o napoletana.

costumi, italia ed europa

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