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Geografia

Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, 1875

Violetta del Goceano. Romanzo contemporaneo

Marcello Cossu

p. 42
O, vedete – ecco un martire della nostra terra – un povero giovine cui fu forza a tutto rinunziare – alla carriera degli studi, chi sa per lui brillante, ad un avvenire, forse per lui dorato; e ciò per accorrere in aiuto della comun madre, Italia – per versare per Lei tutto il suo sangue! - E quanti altri martiri non saranno in questo remoto angolo di terra?... Eche perciò?... La Sardegna fu forse considerata mai come figlia ingenita di Colei?

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p. 47
Intanto preso commiato dall'ostessa, inforcammo i nostri cavalli e partimmo di carriera dalla città di Ozieri.

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p. 48
Fatto appena un mezzo miglio, prendemmo a battere un sentiero assai angusto e scosceso. Talvolta esso si spingeva su su, come per raggiungere l'ertezza d'un ciglione, tal'altra scoscendeva a precipizio fra balze e dirupi spaventosi. I nostri cavalli vincevano con impareggiabile destrezza quelle asperità, e galoppavano alacremente. Facevano piacere a vederli inerpicarsi su quei burroni, e poi scivolare senza pur fallire un piede, con quell'animosità loro propria. Queste nostre besticcole – che ben si possono così chiamare a petto degli stalloni di continente non addimostrano a prima vederle la grande abilità che si hanno e per cui tornano a noi molto care; nessun'altra cavalcatura farebbe al nostro caso; esse sono al Sardo alpigiano, come il camello al nomade dell'Africa. La provvida natura dispensò saggiamente i suoi doni. Dopo aver camminato buon tratto al detto modo, sbuccammo alfine in una vasta pianura, la quale andava a confinare nella foltezza d'un bosco, che si vedeva in lontananza. - Noi dovevamo traversare per lungo tutta quella pianura e poi anche il bosco. Pertanto quì rincominciò il nostro garrire, che finora era stato acchetato dalla strada malagevole. Il mio amico, Riccardo come se nulla gli pesasse più sull'animo del conto della sorella, ridivenne gaio, ed era bello a vederlo far spiccare graziosamente corvette e caracolle a quel su briosissimo puledro.

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pp. 54-55
Giornata seconda – Ascensione al Castello di Burgos.>> […] << Che farci inallora, se non si ha di meglio; - in chiesa coi santi e in taverna coi ghiottoni. - Ad ogni modo l'ascesa a quella rocca mi tornerà sommamente gradita. Su di quell'altura, io potrò respirare l'aria saluberrima della campagna; potrò contemplare il vasto estupendo panorama del vallone del Goceano; arrogi la solennità del luogo che mi richiamerà alla mente un turbinio di vetuste memorie, dei tempi tristissimi del Medio-evo, nei quali appunto fu inalzata la rocca. Infatti il Castello di Burgos, o del Goceano che si voglia chiamare, figurò assai nella storia medioevale dell'Isola. Era una delle sarde rocche più importanti, e veniva riputata inespugnabile; però anche a lei toccò la stessa sorte che si ebbero le molte altre di Sardegna; fu smantellata e abbandonata al ricovero delle fiere.... Ma fu sorte meritata.

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pp. 56-57
Narrasi infatti che vi sia sceso un fortunato pastore, al quale un giorno, gironzolando col suo gregge in quei pressi, sia apparso un giovinetto vestito di candidi vestimenti, dal viso splendente, raggiante come quello d'un angelo; - era veramente un angelo – e che dopo avergli parlato di volerlo far ricco, lo esortasse a tenergli dietro. Il pastore non si fece punto pregare e venne con lui, il quale lo menò fin sul culmine del dirupo, ove per via d'incantesimi sollevò un gran masso che chiudeva l'adito al sotterraneo, e in cui entrambi entrarono. Fatto l'oscuro androne, il giovinetto, o meglio l'angelo e il pastore riuscirono nella sala di cui si è detto, e ivi sostarono. Allora il pastorello tutto tremante guardò ove si fosse, e vide quel vecchio seduto a leggere sul libraccio nero, nella positura che lo descrivono, e di più, vide agli angoli della sala, monti di monete d'oro, d'argento e di rame, così luccicanti, che sembravano uscite poco prima dalla zecca. Pertanto l'angelo diè piglio ad una bisaccia, cui il pastorello aveva posto mente tor seco, e la colmò d'ogni serie di quelle monete; quindi la caricò addosso al povero uomo, stordito per la meraviglia e lo mandò pei fatti suoi in quello stesso sotterraneo ond'erano entrati. Si aggiunge che nel congedarlo, l'angelo raccomandasse forte al pastore di non dir verbo a chi che sia di questa sua avventura; ma che il pastore, non che tener per sacro il comandamento, abbia subito propalato l'accaduto, anzi abbia incitato alcuni suoi parenti ed amici a tentare l'impresa fortunosa di scendere nella sala del tesoro, esibendosi egli stesso per scorta. Fatto stette, giunti sul luogo, per quanto frugassero da per tutto, mai poterono scoprire l'accesso al sotterraneo - e bisogno deporne l'idea col crepacuore del disinganno. Il pastorello poi non stette molto, pagò ben cara la pena della sua disobbedienza; assalito da una grande enfiagione a tutto il corpo, morì in pochi giorni fra i più fieri dolori.

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