Storia
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
p. 113
Quella diversità di accenti e di caratteri gli faceva pensare alla guerra, anzi alle guerre alle quali aveva preso parte, come tanti altri «per fare l’Italia unita». Ma era soltanto ingrandito il regno del Re sabaudo. […] La vera faccia dell’Italia non era quella che aveva sognato con tanti altri giovani, ma quella che sentiva urlare nella bettola – divisa come prima e più di prima, giacché l’unificazione non era stata altro che l’unificazione burocratica della cattiva burocrazia dei varii stati italiani.
pp. 113-114
Questi sardi impoveriti e riottosi non avevano nulla a che fare con Firenze, Venezia, Milano, con Torino, che considerava l’Isola come una colonia d’oltremare, o una terra di confino.
p. 114
In realtà, fra gli stessi italiani del Continente, non c’era in comune se non un’astratta e retorica idea nazionalistica, vagheggiata da mediocri poeti e da pensatori mancati. Persino l’idea di libertà, quale l’aveva espressa la Rivoluzione francese, contrastava con l’unità italiana qual era uscita dalle mani di Mazzini e di Garibaldi che, entrambi in modo diverso, avevano finito per tradire la causa per la quale avevano chiesto il sacrifico di tante giovani vite.
p. 117
Quell’anno, per la festa di Santa Barbara, patrona di Norbio, il Comitato promotore, oltre ai fuochi d’artificio, aveva organizzato anche le corse dei cavalli. Avrebbero avuto luogo nello stradone, che ora si chiamava via Roma per voto unanime del Consiglio comunitativo, dopo il trasferimento della capitale da Firenze alla «Città eterna». […] Dunque quell’anno, per la prima volta, le sei pariglie avrebbero corso per la via Roma, montate da tre cavalieri di Norbio e da tre di Ghilarza, paese di cavallerizzi famosi e di bei cavalli, oltre che di belle donne.
p. 123
In passato, le antiche leggi isolane facevano ricadere la responsabilità dei crimini sulla comunità intera. Il timore presente non derivava da questo antico senso comunitario, da questa civile responsabilità collettiva, che si era perduta nel tempo, ma piuttosto dalla sfiducia nell’attuale amministrazione della giustizia.