Costumi
Cagliari, Centro di Studi Filologici Sardi / Cuec, 2007
La bella di Cabras
Enrico Costa
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Il primo – vestito cogli abiti di festa – colla corta ed elegante giacchetta di panno e coi candidi calzoni di tela, spiccava fra i giovani per la perfezione delle forme, per l'aria nobile ed altera che lo rendeva caro alle donne, e per quell'occhio grande e azzurrino che brillava come un lampo sotto una capigliatura corvina, folta, ricciuta, che gli cadeva sulle spalle e sulle orecchie. Il secondo invece – Piringino – vestito tra il signore ed il paesano, coi pantaloni neri e un ampio cappello di feltro grigio, era in mezzo ad un crocchio di amici, col sogghigno sulle labbra.
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La casetta di Rosa, a pian terreno, come la maggior parte delle case, aveva tre camere di facciata: quella di mezzo, più grande di tutte prendeva luce dalla porta d'ingresso e da una piccola finestra; un'altra finestra avevano le due camere laterali. Le quattro aperture davano tutte sulla strada.
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Quelle case, per lo più senza intonaco, danno una tinta grigio-oscura ai poveri paesi, che perciò si presentano melanconici, tetri, uggiosi, a chi li visita per la prima volta.
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Vicino alla piccola finestra, nell'angolo, in modo che dalla strada possa vedersi, è il telaio, il mobile prediletto e più caro della casa, dinanzi al quale siede sempre qualche donna della famiglia. Si sa d'altronde che Cabras vantò in ogni tempo molte tessitrici e l'Angius col Valery, nel 1836, contarono nel paese non meno di 860 telai.
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Qua e là, sul pavimento, sono distese tre o quattro stuoie della fabbrica di S. Giusta, sulle quali d'ordinario i membri della famiglia siedono, o per filare, o per riscaldarsi al fuoco, o per mangiare. Qualche volta il solo capo di famiglia – il padrone – pranza alla piccola tavola (sa mesedda) e gli altri stanno sulle stuoie.