Storia
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
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Fulgheri continuò a scrivere e a parlare contro la legge delle chiudende, si batté contro gli abusi e le ingiustizie, col solo risultato di confermare l’opinione di coloro che lo consideravano un pericoloso sobillatore e un giacobino. Fondò anche un periodico che dirigeva, scriveva e pagava da solo, per dibattere a fondo i problemi agricoli ed economici dell’isola, e, in particolare di Parte d’Ispi; attaccò il governatore, i giudici della Regia Udienza, fu ammonito, querelato, e infine processato e condannato a una lieve pena detentiva, che scontò nel carcere di Buoncammino, a Cagliari, ma non appena rimesso in libertà riprese la sua inutile battaglia.
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Apparteneva a un’antica famiglia patrizia, quella dei conti di San Giovanni Nepomuceno, ma in contrasto con la tradizione famigliare, aveva sempre avversato i Savoia per le proprie convinzioni repubblicane, e per il malgoverno esercitato nell’Isola.
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Intanto era stata proclamata l’unità del Regno, e Fulgheri non si stancava di ripetere che si trattava della unificazione della burocrazia dei diversi stati italiani, soltanto della unificazione burocratica; perché l’unità vera, quella per la quale tanti uomini si erano sacrificati, si sarebbe potuta ottenere soltanto con una federazione degli Stati italiani.
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laquo;È l’ingegnere Antonio Ferraris del Regio Corpo delle Miniere.» […] In realtà l’ingegnere Ferraris si trovava a Norbio con l’incarico di sollecitare la consegna di mille cantara di legna necessari alle Regie Fonderie della zona; e l’Intendente Generale aveva mandato lui perché era un uomo energico, capaci di farsi obbedire. […] La consegna forzosa di ingenti quantitativi di legna durava da più di un secolo. Nel 1740, il Re aveva concesso al nobile svedese Carlo Gustavo Mandell il diritto di sfruttare tutte le miniere di Parte d’Ispi in cambio di una esigua percentuale sul minerale raffinato; e gli aveva permesso di prelevare nelle circostanti foreste il carbone e la legna per le fonderie, costringendo i comuni a vere e proprie corvé e distruggendo così il patrimonio forestale della regione. Lo scempio era continuato anche quando miniere e fonderie, scaduto il contratto trentennale di Mandell, furono gestite direttamente dal regio governo.
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Ma il Re, avidissimo dalla miserrima percentuale del 2% che gli spettava per contratto sull’argento e il piombo raffinati, respingeva tutte le proposte di esperimenti innovatori che rischiassero in qualche modo di ritardare il ritmo della produzione.