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Colori

Roma, Maglione e Strini, 1923

La razza. Frammento di recentissima storia

Romolo Riccardo Lecis

p. 36
Il grigiore della sera avvolgeva di una ombra eguale la stanza e infiacchiva ogni speranza.

colori

p. 50
Più inebbriante e distinto saliva sempre l’aroma delle rose che reclinavano lievemente il loro seno aperto, di un rosso vividissimo, quasi smorte d’ardore.

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pp. 88-89
Si ricordò – strano richiamo della mente concitata – di avere soggiornato una volta, visitando paesi dell’alpe, in una casa campestre, presso umile gente della gleba: d’autunno. Gli avevano lasciata a disposizione l’intera casa, quei contadini, per tutta una sera; e mentre loro lontano frugavano la terra e cercavano il bestiame, egli era rimasto solo a meditare, con un libro dinanzi, in una bianca stanza povera d’arredi e piena di tanta pace… […]
Quanta pace! E che immensità fonda per la campagna muta, su su fino ai torrioni erti spaventosi delle Alpi! E il colore dei boschi, delle selve e dei prati è tutt’uno: giallo morente. È l’autunno incipiente, ma cadono le foglie e par che cadano le speranze passate. Tutti i sentieri si ricoprono di foglie flaccide...

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p. 172
I luoghi di Barbagia si prestano per le cavalcate classiche in modo meraviglioso. Si affrontano erte che sono per il cavallo una prova difficile; si sente con orgoglio giungendo su ripiani superbi l’ansito violento della bestia generosa che si scrolla, rode i freni, si ferma e studia attentamente le altre erte che si susseguono. Si superano anche quelle, a trotto, a galoppo, e si conquista un paradiso. Sono orizzonti sconfinati, a quando chiari, a quando pallidi, a quando civettanti tra mille tinte incerte disgregantisi e ricomponentisi di continuo; le catene lontane delle montagne appaiono in una sola linea fluttuante di cui non si scorge più la fine: e da quello sfondo e da quella visione lo spirito avvinto, sospeso, non si stacca se non estasiato.

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pp. 173-176
Epperò, ecco Barbagia e Ogliastra, le regioni sorelle e finitime unite dagli stessi caratteri biologici di razza, attraverso la parola di un illustre prelato che le dilige e le soccorre d’amore, instancabilmente: "Ricca, varia. Bella tutta la plaga. In capo il Gennargentu; a destra, ai piedi, il Flumendosa; a manca, dal Monte Santo, sui confini di Dorgali, a porto Corallo, presso Muravera, il Mar Tirreno.
Ovunque l’orizzonte è come una festa di monti, di colli, di balze che si alternano di giogaia in giogaia come gigantesche onde incalzantesi al mare: quasi ciascuna catena sta a sè, ed ogni monte o colle sorge da sè, dai piedi nella pianura, e con le pendici, con le vette soleggiate ed ombreggiate dalla propria luce.
Appaiono le rocce brulle, sassose, capricciose, irte, facili, tagliate a picco; e colline incantevoli, verdeggianti, simmetriche, come innalzate a belvedere sulle cerulee onde del mare".
Ai piedi del Gennargentu, propriamente della montagna Perdaliana, che all’altezza di circa 1300 metri termina acuminata in forma precisa di gigantesco castello, con mura e torri e spalti e merli, figurano belli e caratteristici i così detti corongius i quali movendosi dal Nord al Sud Est, verso la stazione di Gairo prima, per Ulassai, Jerzu, poi; di qua fino a Monte Ferru. Di là sino a Taccu Mannu ed a Tacchixeddu di Tertenia, vanno come una sola catena compatta di ciclopiche muraglie dolomitiche – ove crollanti ed ove superbe nella loro interezza – coronate di roveri, di cespugli, dalle più fantastiche forme di stalattiti sotto la volta del cielo!
E la vegetazione è ricca. Varia, poderosa ovunque! […]
Quale incanto nell’altopiano di Sadali, profumato di timo, serpillo, ramerino, issopo, maggiorana!.... Come più aprico l’altro che dalle pendici di S. Vittoria va fino alla solitaria Escalaplano, ed indi – solcato dal Flumineddu, limitato al Sud dal Monte Cardiga, ad est dalla contrada di Quirra – volge più alto, più ricco verso Perdas de fogu e poi fino al Corongiu di Jerzu!

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