Colori
Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
p. 7
Anche ora, avendo avvertito la sua presenza, Zurito sporgeva il lungo collo al di sopra del cancello della stalla e scuoteva la testa scoprendo i denti gialli.
p. 7
Finalmente, quando il ragazzo apparve come la piccola silhouette nera di un dagherrotipo nel riquadro luminoso della porta, tornò a chinarsi sul foglio e ricominciò a scrivere con la lunga penna d’oca, che aveva appena affilato. La penna bianchissima, era Sofia, la madre di Angelo che gliela procurava, svettava sulla spalla destra tremolando e sfiorava i peli neri e lunghi della barba che formavano ai lati del viso bruno e segnato due folti favoriti, che egli continuava a portare benché non fossero più di moda.
p. 7
Il ragazzo tirò fuori dalla tasca la fetta di pane bianco, la spezzò, e lasciò che Zurito prendesse i pezzetti dal palmo della mano.
p. 9
L’avvocato soffiò stizzosamente scoprendo i denti lunghi e gialli come quelli di Zurito: «Taci tu!» disse.
p. 11
Ai lati del carro, quattro tamburini con ghette bianche e cheppì facevano rullare incessantemente i tamburi, così che tutti, anche nelle ultime case del rione Sant’Antonio, sapessero quello che stava succedendo.