Cagliari, Centro di Studi Filologici Sardi / Cuec, 2007
La bella di Cabras
Enrico Costa
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Il fiume Tirso, ingrossato da improvvisa pioggia, aveva rotto gli argini, e con piena spaventevole era entrato in città, recando immensi danni alle case e alle campagne circostanti.
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Da Oristano a Santa Giusta non si vedeva più terra.
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Fra le inondazioni che più volte funestarono il campidano oristanese per lo straripamento del Tirso, nessuna certamente rimarrà memorabile come quella del 9 dicembre 1860.
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Da Oristano a Santa Giusta non si vedeva più terra. Era tutto un mare da cui spuntavano i tetti delle case e il ciuffo di qualche albero. In Oristano era un vero orrore. L'acqua precipitava nelle vie con sordo fragore e inondava i magazzini. I cittadini fuggivano atterriti, chiedendo invano soccorso.
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I loro gemiti commossero tutto il paese. La loro casetta era assediata dalle visite delle comari e dei vicini che esortavano alla rassegnazione ed al coraggio quei quattro disgraziati. Il focolare rimase spento per due giorni – com'è usanza nei paesi sardi, quando la morte ha visitato una casa – ed i parenti e gli amici avevano pensato a provvedere il pranzo e la cena in quei giorni di pianto e la cena in quei giorni di lutto. Si sperava ancora in un errore, in una falsa notizia. Forse la donna era stata veduta e salvata da qualche pietoso; forse era stata ricoverata in qualche capanna... […] Zio Antonio Maria non sapeva darsi pace; imperoché amava molto la sua compagna, quantunque, come succede dei sardi, non si profondesse troppo in tenerezze. Il Bresciani, a questo proposito, ha fatto una giusta osservazione. Egli ha scritto: “il sardo è di natura sobrio, onesto, ospitale; osserva mirabilmente i maggiori, ed è tenero in eccesso dei figliuoli; pregia la sua donna come gemma di casa, ma non si profonde in vezzi; l'onora in petto, ma la vuole sommessa e riverente in atti e in parole”.