Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, 1875
Violetta del Goceano. Romanzo contemporaneo
Marcello Cossu
pp. 257-258
Gli antichi, è vero, costumavano seppellire i loro morti accanto a sè, ma certo per averli presenti alla mente, e per farvi la guardia, usando tumularli ornati di gemme, e racchiudendo nel monumento, monete e vasellamenti preziosi. Le necropoli delle vetuste nostre città attestano il fatto – Gli Egizi, i Cartaginesi e i Romani che qua ebbero lunga dimora praticavano a questo modo coi morti. Ora però che le nostre cure per essi son più che distrette e seppelliamoli qual la natura ne li richiede, è affatto incoerente lo averli vicini. - Oltracciò gli antichi badavano di ben calcinare i cadaveri prima del seppellimento, e li racchiudevano in cenere che costudivano in preziosissime urne.
p. 257
Il villano superstizioso si guarda bene di passare qua nelle ore tante della notte, e se imperiosa circostanza ve là spiga, si segna prima con croci e fila dritto recitandovi requiem... V'è taluno che afferma aver veduto entro il recinto, sulla mezzanotte le ombre dei morti trasformate in fiammelle, e menarvi danze, inviando gemiti e sospiri! Quale sventura avere i morti dentro paese! - qual insulto all'Igiene!
p. 258
Ed eravamo in pieno secolo XIX!
p. 258
Ed io vidi, fanciullo, errar per queste tombe, cani e porci – certo attirati all'odore – e con le zampe, quelli, e col grifo, questi, procacciarsi un cibo esecrando!
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Il sacro recinto era un inestricabile guazzabuglio di bronchi e sterpi e di piante selvatiche, che palmo a palmo si contendevano il terreno. Qua prosperava il rovo e il caprofico, l'erica e la madreselva, la malva e l'ortica, e insieme stippavane ogni angolo, in modo, da impedirne l'andare.