Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, 1875
Violetta del Goceano. Romanzo contemporaneo
Marcello Cossu
pp. 107-108
Se ne ha, ed io stesso sono un suo nipote, orbene vi posso giurare, che per quante scappellate abbia fatte nel suo giorno onomastico, nel capo d'anno ed in altre feste, mai ebbi la sorte di spillare da quell'ebreo un becco di un quattrino.
p. 108
Per quante fiate mi sia messo a matematicamente considerare quel mio scarso dividendo, ho pur troppo sempre dovuto conchiudere di dovermi fisicamente restringere alla spesa di lire una, centesimi trentasei e novantotto millesimi al giorno, che equivale al panem meun quotidianum.
p. 109
Eravamo arrivati alle falde del poggio sul culmine del quale s'ergeva il romantico Castello. Il colle era ertissimo, scosceso, ingombro di macchioni di rovo e di virgulti; il salirvi a cavallo era cosa difficile fino alla sua meta e poi affatto impossibile di lì in sù.
p. 109
Disgraziatamente si annoverava fra costoro il signor maestro, spinto dall'esempio del dottore, che poi ci aveva un briosissimo puledro.
p. 110
Il cavallo fu rimesso in gambe dai domestici, ai quali pure consegnammo tutti i nostri, avendo preso consiglio di terminare il cammino a piedi. Riprendemmo lena e coraggio onde vincere la difficil'erta; ma il sentiero diventava ognora più angusto, stipato di pruni e d'arbusti che ci aggrappavano le vesti con non molta cortesia, e ci careggiavano il viso con nessuna urbanità.