Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
p. 324
Cagliari era diversa dal resto dell’isola. Fin dai tempi antichi, era stata la roccaforte dei dominatori e la sua popolazione eterogenea, fatta di un miscuglio di razze, teneva in dispregio chiunque venisse dal contado. Anche Angelo, quando arrivava a Cagliari, si sentiva paesano e, come tutti i paesani, provava un senso di inferiorità.
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La gente andava e veniva chiacchierando di chi sa che, con quella cadenza cantilenante così diversa e in contrasto con la dura, asciutta parlata isolana. Cagliari era diversa dal resto dell’isola. Fin dai tempi antichi, era stata la roccaforte dei dominatori e la sua popolazione eterogenea, fatta di un miscuglio di razze, teneva in dispregio chiunque venisse dal contado.
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Riconobbe il palazzone rossastro del tabacchificio, poi, a un tratto, si accorse che le luci a gas erano già accese, e il viale sembrò prolungarsi all’infinito verso la parte alta della città.
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Francesco gli stava accanto e Angelo vedeva le gocce di sudore scorrere su la pelle abbronzata, infilarsi nel colletto della tunica inzuppando l’impeccabile cravatta di picchè bianco. […] Era un uomo alto e magro, coi capelli radi e sbiaditi e gli occhi grigi.
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La gente andava e veniva chiacchierando di chi sa che, con quella cadenza cantilenante così diversa e in contrasto con la dura, asciutta parlata isolana. Cagliari era diversa dal resto dell’isola. Fin dai tempi antichi, era stata la roccaforte dei dominatori e la sua popolazione eterogenea, fatta di un miscuglio di razze, teneva in dispregio chiunque venisse dal contado. Anche Angelo, quando arrivava a Cagliari, si sentiva paesano e, come tutti i paesani, provava un senso di inferiorità.