Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
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Francesco si trovava a suo agio nella vasta cucina pavimentata di lastroni di grigia pietra lavica, le pareti ricoperte di lucide mattonelle, il grande tavolo di castagno massiccio, le seggiole basse, dipinte a fiori, i capaci armadi, e la mensola sulla quale stavano allineate le rustiche brocche per l’acqua potabile, sempre umide e trasudenti, chiuse da grossi tappi di sughero; e le donne indaffarate, con le maniche rimboccate su le braccia rosse, il viso imporporato dal fuoco del camino.
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ldquo;Immergeva nell’acqua due sole dita e con un movimento continuo e ritmato provocava una specie di zampillo che cadeva davanti ai suoi piedi disegnando sull’ammattonato fantastici arabeschi. Tutte le donne di casa, padrone o serve, in tempo d’estate, facevano quell’operazione che pareva un gioco, tutte, tranne Margherita, la quale si escludeva da ciò che non era strettamente indispensabile e severamente razionale&rdquo
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ldquo;Alludeva alle corse acrobatiche in cui i cavalieri fanno la verticale e con un’abile capriola si rimettono in piedi sul cavallo lanciato al galoppo&rdquo
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Aveva le palpebre rosse, delicate, con lunghe ciglia che tremavano impercettibilmente, grandi occhi femminei e le orecchie puntate in avanti, fin e vellutate.
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Rapido gli mise il feltro giallo e la sella.