Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
p. 273
La Sardegna era entrata nell’unità nazionale moralmente ed economicamente fiaccata. I Savoia, che ne erano venuti in possesso col Trattato di Londra, avevano continuato e se mai accentuato lo sfruttamento e il fiscalismo tanto che i sardi, per due volte, cercarono di liberarsene. La prima fu nel 1794 quando, a furor di popolo, costrinsero i piemontesi a lasciare l’Isola; la seconda nel 1796 quando Sassari proclamò la repubblica, soffocata poi nel sangue. […] La legge del 14 luglio 1864 aveva aumentato le imposte di cinque milioni per tutta la Penisola, e di questi oltre la metà furono caricati sulla sola Sardegna, per cui l’Isola si vide triplicate di colpo le tasse.
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In molti paesi del Centro, quando gli esattori apparivano all’orizzonte, venivano presi a fucilate e se ne tornavano, quando tornavano, a mani vuote; ma più spesso l’esattore, spalleggiato dai Carabinieri, metteva all’asta casette e campicelli, e tutto questo senza che nessuno tentasse di difendere gli isolani. I politici, legati agli interessi del governo, predicavano la rassegnazione. I sardi si convincevano di essere sudditi e non concittadini degli italiani, e sempre più si abbandonavano alla loro secolare apatia e alla totale sfiducia nello Stato.
p. 273
Attraverso i vetri si vedeva il mare verde e il cielo grigio sui bruni bastioni michelangioleschi di Civitavecchia.
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Il governo regio e i fanatici dell’unificazione non avevano tenuto conto delle differenze geografiche e culturali, e avevano applicato sbrigativamente a tutta l’Italia un uniforme indirizzo politico e amministrativo.
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Attraverso i vetri si vedeva il mare verde e il cielo grigio sui bruni bastioni michelangioleschi di Civitavecchia.